In tema di furto, quando la circostanza aggravante di cui all’art. 625 n. 2 c.p. deve ritenersi esclusa?
A tale interrogativo ha fornito risposta la Suprema Corte con la sentenza n. 29629/2023.
Nella vicenda in esame, i giudici di merito confermavano la sentenza emessa dal Tribunale, con cui Tizio era stato condannato a pena di giustizia per il delitto di furto aggravato, ai sensi degli artt. 624, 625 n. 2 c.p.
Tizio, a mezzo del suo difensore, si rivolgeva alla Suprema Corte lamentando la violazione di legge, in riferimento all'art. 625 n. 2 c.p., nonché il vizio di motivazione, ai sensi dell'art. 606, lett. b) ed e) c.p.c., dal momento che la sentenza impugnata, applicando erroneamente i principi della giurisprudenza di legittimità, aveva ritenuto sussistente la circostanza aggravante della violenza sulle cose, pur avendo l'imputato sottratto il cassetto del registratore di cassa semplicemente staccandolo da un connettore e, dunque, avendo percorso circa 140 metri dal luogo ove si era verificata la sottrazione, quindi ad impossessamento avvenuto, raggiungendo un luogo ben distante dal ristorante, dove aveva tentato di aprire il cassetto con un cacciavite, con conseguente impossibilità di ravvisare la circostanza aggravante in esame.
Gli Ermellini davano torto a Tizio precisando che “La circostanza aggravante di cui all'art. 625, n. 2 cod. pen. deve essere esclusa allorché la violenza venga esercitata sulla cosa dopo che il delitto sia stato commesso, in un contesto di tempo e di luogo nettamente distinto dall'impossessamento della refurtiva”.
Secondo i giudici di legittimità, nel caso in esame, ciò non si era verificato.
Le sentenze di merito avevano chiarito che il cassetto del registratore di cassa era stato irrimediabilmente danneggiato, con una condotta che si era collocata senza alcuna cesura cronologica rispetto all'impossessamento.
Tra l’altro, evidentemente, l'oggetto di cui l'autore del furto intendeva appropriarsi era il contenuto del cassetto e non il cassetto in sé, per cui l'esercizio della violenza sulla res - il cui impossessamento segna il momento consumativo del reato - era funzionale al definitivo perfezionamento dell'apprensione del denaro contenuto nel cassetto del registratore di cassa sottratto.
Pertanto, il Tribunale Supremo dichiarava inammissibile il ricorso.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Con la sentenza n. 30243/2023, la Corte di Cassazione si è pronunciata sull’applicabilità dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede nel delitto di cui all’art. 635 c.p.
Nel caso in esame, Tizio aveva danneggiato volontariamente alcune automobili presenti nel parcheggio del condominio, tagliando pneumatici e rompendo specchietti e tergicristalli.
Avverso la sentenza d’appello, Tizio, a mezzo del suo difensore, proponeva ricorso in Cassazione asserendo la non sussistenza dell'aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, sulla base di tre distinte circostanze emerse nell'istruttoria dibattimentale:
• la vettura era parcheggiata in un'area condominiale e non sulla pubblica via;
• il parcheggio era controllato da un sistema di videosorveglianza;
• le condotte si sarebbero svolte alla presenza delle persone offese.
La Suprema Corte dava torto a Tizio stabilendo che l’aggravante in questione consegue alla impossibilità per il titolare del diritto di proprietà sulla cosa oggetto dell'azione delittuosa di esercitare una vigilanza continua sul bene.
Pertanto, non rilevano né l'accidentale presenza del suddetto titolare al momento della commissione del fatto, ogni qualvolta l'agente abbia fatto affidamento sulla sua ordinaria impossibilità di sorvegliare in modo costante la cosa propria, né l'esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di videosorveglianza, mero strumento di ausilio per la successiva individuazione degli autori del reato non idoneo a garantire l'interruzione immediata dell'azione criminosa.
Nella fattispecie esaminata, i giudici di secondo grado avevano applicato correttamente detti principi di diritto rilevando come l'area esterna fosse agevolmente accessibile a soggetti esterni, come risultava dalle denunce-querele presentate dalle persone offese e dalla stessa circostanza che Tizio vi avesse fatto ingresso per due volte di seguito durante la stessa serata.
Per quanto concerne la presenza di riprese di sicurezza, la Corte territoriale ne aveva affermato l'irrilevanza ai fini dell'esclusione dell'aggravante in questione, dal momento che il congegno di monitoraggio non costituiva una difesa assoluta contro la sottrazione o il danneggiamento.
I giudici di appello non avevano preso espressa posizione sull'eventuale venir meno dell'aggravante in ragione della presenza sul posto delle persone offese.
Del resto, tale omissione era stata una conseguenza della mancanza di uno specifico punto di gravame: difatti, nell'atto di appello, le censure si incentravano esclusivamente sulla collocazione delle automobili all'interno degli spazi condominiali, coperti dalle telecamere di videosorveglianza.
Ai sensi degli artt. 606, comma 3, e 609, comma 2, c.p.c., a pena di inammissibilità, non possono essere dedotte in cassazione questioni non prospettate nei motivi di appello, tranne che si tratti di questioni rilevabili di ufficio in ogni stato e grado del giudizio o di quelle che non sarebbe stato possibile dedurre in grado d'appello.
In virtù di ciò, il Tribunale Supremo dichiarava inammissibile il ricorso.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Con l’ordinanza del 31 maggio 2023, il Tribunale di Roma, pronunciandosi in tema di mutuo bancario, ha affrontato la questione relativa alla mancata pattuizione circa le modalità di calcolo della rata e alla verifica del tasso effettivo applicato.
Nella vicenda esaminata, un consumatore (attore) chiedeva al giudice capitolino ammettersi consulenza tecnica d’ufficio al fine di accertare la minor somma dovuta all’Istituto di credito (convenuto) a seguito dell’estinzione del mutuo, dal momento che il regime di capitalizzazione del piano di ammortamento non era stato pattuito.
Difatti, dalla documentazione in atti non risultava una specifica pattuizione sulle modalità della capitalizzazione come invece contemplato dall’art. 6 della CICR 09/02/2000.
L’ufficio romano disponeva procedersi a CTU, affinché:
• venisse accertato il regime finanziario degli interessi applicati dalla Banca precisando se l’ammortamento applicato fosse a rata costante (cosiddetto ammortamento alla francese) in regime composto (in luogo di quello semplice ex art. 281 c.c.), e se ciò fosse stato indicato nel contratto;
• si verificasse se l’Istituto di credito avesse applicato nel corso del rapporto un tasso effettivo diverso e superiore rispetto a quello pattuito nel contratto;
• venisse quantificata la somma complessivamente versata alla Banca e quella che il mutuatario avrebbe dovuto versare.
Dunque, il Tribunale di Roma, ha ritenuto importante ammettere la consulenza tecnica d’ufficio per verificare la presenza o meno di anomalie nel contratto di mutuo in questione.
Difatti, qualora nella redazione di un piano di ammortamento venga applicato il regime composto, si ha un calcolo di interessi su interessi (non scaduti, ma maturandi), il che determina una rata maggiore (e dunque un'obbligazione accessoria maggiore).
Tra l’altro, la mancata esplicitazione in contratto del regime finanziario degli interessi applicati dalla Banca costituisce una vera e propria irregolarità del contratto di finanziamento.
Nell’ipotesi in cui nel contratto di mutuo manchi una indicazione fondamentale per determinare univocamente il tasso di interesse, trova applicazione il comma 7 dell’art. 117 TUB e il piano di ammortamento del mutuo deve essere ricalcolato utilizzando i tassi sostitutivi minimi BOT; a questo punto, la Banca è tenuta a restituire quanto preteso in più rispetto al nuovo piano di ammortamento.
Per verificare la presenza di irregolarità nel tuo contratto di mutuo, puoi chiedere una Pre-Analisi Gratuita a Cesynt Advanced Solutions spa, società che opera nel settore da oltre 15 anni; inoltre, nel caso in cui il consumatore voglia contestare l’irregolarità del finanziamento all’istituto di credito e chiedere la restituzione degli interessi pagati in eccesso, la Cesynt, oltre a seguire e gestire le diverse attività di consulenza, potrà chiedere ed ottenere il rimborso grazie anche all’intervento degli avvocati con cui è convenzionata.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Cosa richiede l’impugnazione stragiudiziale del licenziamento?
Su ciò si è pronunciata la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 17731 del 21 giugno 2023.
Nella vicenda esaminata, i giudici di merito confermavano la decisione resa dal Tribunale e rigettavano la domanda proposta da Sempronio nei confronti dell’ASL, avente ad oggetto la declaratoria di illegittimità del licenziamento intimato.
La Corte distrettuale rigettava la domanda del lavoratore in quanto non considerava espressiva della volontà di impugnare il licenziamento la manifestazione di dissenso rispetto al provvedimento espulsivo pronunciata con la dicitura in calce alla lettera di comunicazione del recesso “prendo solo per ricevuta visione della lettera non condividendo né la forma né il contenuto”.
Sempronio si rivolgeva alla Suprema Corte lamentando la non conformità a diritto del convincimento espresso dai giudici di secondo grado circa l'inidoneità della nota dal ricorrente apposta in calce alla lettera di licenziamento a riflettere la volontà di impugnare l'intimato licenziamento; il ricorrente asseriva essere sufficiente, ai sensi di legge ed in base al principio della libertà della forma degli atti, qualsiasi atto scritto che valga a manifestare al datore la volontà di contestare la validità ed efficacia del licenziamento.
Altresì, Sempronio, imputava alla Corte territoriale l'omessa pronunzia in ordine ai dedotti motivi di illegittimità del recesso.
Il Tribunale Supremo accoglieva il ricorso stabilendo che “Ai fini dell'impugnazione stragiudiziale del licenziamento ai sensi dell'articolo 6, L. n. 604 del 1966, è sufficiente ogni atto scritto con cui il lavoratore manifesti al datore di lavoro, con qualsiasi termine, anche non tecnico, e senza formule prestabilite, la volontà di contestare la validità e l'efficacia del provvedimento, essendo in detta manifestazione di volontà implicita la riserva di tutela dei propri diritti davanti all'autorità giudiziaria”.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Cosa consegue alla mancata registrazione del contratto di affitto?
A tale interrogativo ha fornito risposta la Suprema Corte con l’ordinanza n. 13870/2023.
Con contratto di locazione di bene immobile ad uso abitativo, Tizio concedeva a Caia il godimento di un immobile di sua proprietà; poiché quest’ultima si rendeva morosa nel pagamento dei canoni, Tizio si rivolgeva al Tribunale, che dichiarava la risoluzione del contratto di locazione per grave inadempimento (consistito nel mancato prolungato pagamento dei canoni) di Caia, ordinando alla stessa il rilascio dell’immobile locato.
Caia proponeva appello avverso la sentenza del giudice di prime cure asserendo che il contratto di locazione, già stipulato e registrato il 26 giugno 2006 e successivamente prorogato per mancata disdetta, non aveva costituito oggetto di successiva registrazione in ordine agli anni per i quali era maturata la morosità, rilevata dal giudice di primo grado, ragion per cui tale contratto era da considerarsi nullo e, dunque, non idoneo a fondare una richiesta di pagamento di canoni.
I giudici di merito rigettavano l’impugnazione, condannando Caia alla rifusione delle spese processuali relative al grado.
A questo punto, la vicenda approdava in Cassazione, la quale dava torto a Caia.
I giudici di legittimità precisavano che “Il mancato versamento di alcune annualità della imposta di registro, successive a quella iniziale, è sì sanzionato dalla normativa fiscale, ma non rileva agli effetti della validità negoziale del contratto cui si riferisce la previsione di nullità di cui alla norma della l. n. 311 del 2004, articolo 1, comma 346, atteso che essa si riferisce alla registrazione originaria del contratto”.
Per gli Ermellini, il contratto di affitto deve ritenersi valido ed efficace se viene regolarmente registrato al momento della sua stipulazione.
Certamente il mancato pagamento dell'imposta di registro per le annualità successive è punito con sanzioni dalle norme fiscali, ma non determina l'invalidità del contratto di affitto.
In virtù di ciò, il Tribunale Supremo dichiarava il ricorso inammissibile.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'