Archive of June 2024

Il sito internet come mezzo per trovare nuovi clienti

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Con il proprio sito internet è possibile acquisire nuova clientela Ecco alcuni suggerimenti su come trovare clienti in target utilizzando il proprio sito internet:

  1. Individuare e identificare esattamente il pubblico di riferimento: prima di tutto, è importante identificare chi sono i potenziali clienti e quali sono i loro interessi e bisogni. Questo permetterà di creare contenuti mirati che interessano esattamente il target di riferimento.
  2. Ottimizzare il sito per i motori di ricerca: Assicurarsi che il sito sia ottimizzato per i motori di ricerca in modo che i potenziali clienti possano facilmente trovarlo online. Utilizzare sempre parole chiave pertinenti nel contenuto del sito e assicurarsi che sia ben strutturato e facile da navigare.
  3. Utilizzare un blog: un blog dove poter inserire articoli, riferiti alle proprie specializzazioni, in grado di stimolare l'interesse del potenziale cliente, coinvolgerlo anche emotivamente e fidelizzarlo .
  4. Pubblicare contenuti interessanti e condivisibili che coinvolgano il pubblico di riferimento
  5. utilizzare gli hashtag (etichette per identificare i contenuti) pertinenti per aumentare la visibilità dei contenuti del sito.
  6. Utilizzare il blog ed altre strategie per accrescere l'autorevolezza dello studio professionale e dei professionisti che operano all'interno. Seguendo questi consigli e adottando una strategia mirata, si riesce a trovare nuovi clienti che hanno necessità di fruire esattamente dei servizi e delle attività dello studio professionale e che sono già motivati e pronti a pagare per tali prestazioni professionali. Naturalmente il professionista difficilmente ha il tempo per seguire direttamente tutte queste attività che, tra l'altro non fanno parte delle sue attività tipiche. In questo caso è utile appoggiarsi a strutture che abbiano le competenze necessarie e che possano eseguire tutte le attività sopra elencate in modo da ottenere i risultati previsti. Certamente utilizzare una società esterna per organizzare e gestire il sito, comporta sostenere dei costi ma più che costi si deve parlare di investimenti che avranno un ritorno in tempi brevissimi. Occorre infatti valutare preliminarmente quanto produce mediamente un cliente in termini di fatturato prodotto per lo studio. Valutare quanti nuovi clienti si possono ottenere e quanto costa ottenerli. La differenza costituisce il beneficio ottenuto dal sito. Un esempio potrà essere utile a comprendere meglio: ipotizziamo che lo studio professionale ottiene un

fatturato medio per cliente pari a 3.500 euro

e grazie al sito ed all0attività di marketing ottiene un minimo di 2 nuovi clienti al mese, per un totale di 24 nuovi clienti all'anno, incrementerà il fatturato di 84.000 euro (2 clienti per 12 mesi uguale a 24 clienti per 3.500 euro ognuno). Se il costo di realizzazione e gestione e del marketing è pari a 2.500 euro la mese, il costo annuo sarà pari a 30.000 euro (2.500 per 12 mesi) con un margine annuo di 54.000 euro.

Ma oltre a questo beneficio quantificabile numericamente in maniera esatta, esiste un ulteriore beneficio, certamente più difficilmente quantificabile ma di un valore molto più elevato: l'autorevolezza che riesce ad acquisire lo studio ed i professionisti che operano nello studio. Infatti oggi, con internet sono cambiati anche i criteri di valutazione dei clienti che si affidano più spesso e più volentieri a professionisti che sono presenti ed hanno visibilità su internet invece che a professionisti conosciuti diversamente.


Il sito internet oggi. Cosa rischia chi ancora non ha un sito.

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Negli ultimi anni, il web è diventato uno strumento fondamentale per la promozione e la visibilità di qualsiasi professionista. Chi non dispone di un sito internet rischia di essere penalizzato in diversi modi. Vediamo insieme alcuni dei principali svantaggi che può avere un professionista che non ha un proprio sito web:

  1. Mancata visibilità: Senza un sito internet, un professionista rischia di essere invisibile agli occhi di potenziali clienti. Nel mondo digitale di oggi, la maggior parte delle persone ricerca informazioni su servizi e professionisti online, e se non si trova un sito web dedicato al professionista, è probabile che venga trascurato a favore della concorrenza.

  2. Credibilità compromessa: Un sito internet è uno strumento importante per costruire la propria reputazione online. Senza un proprio spazio web, un professionista potrebbe risultare meno credibile agli occhi dei potenziali clienti, che potrebbero preferire affidarsi ad altre figure con una presenza digitale più solida.

  3. Limitate opportunità di marketing: Un sito internet permette di promuovere i propri servizi in modo efficace e capillare, attraverso l'utilizzo di strategie di marketing online come l'ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO) e il content marketing. Senza un sito web, un professionista si priva di importanti strumenti per promuovere la propria attività e acquisire nuovi clienti.

  4. Difficoltà nel gestire la propria reputazione: In assenza di un sito internet, un professionista potrebbe avere difficoltà nel gestire eventuali recensioni negative o commenti diffamatori su di sé. Un sito web può essere utilizzato anche come strumento di risposta e difesa in caso di controversie online, permettendo al professionista di difendere la propria reputazione e gestire eventuali critiche in modo professionale.

In conclusione, non avere un sito internet comporta numerosi svantaggi per un professionista, compromettendo la sua visibilità, credibilità e opportunità di marketing. È quindi fondamentale per qualsiasi professionista che desideri distinguersi nella propria attività investire nella creazione di un sito web professionale e ben curato.


Importanza di un sito internet nell'attività di un professionista

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Perché oggi il 72% dei professionisti ha già un sito internet.

Un sito internet è diventato uno strumento fondamentale per i professionisti di ogni settore. Che si tratti di un avvocato, un ingegnere, un architetto, un medico o un designer, avere una presenza online è essenziale per raggiungere e attirare clienti potenziali ma soprattutto per accrescere la propria autorevolezza.

Uno dei principali motivi per cui un sito internet è così importante per i professionisti è la possibilità di presentare i propri servizi in modo professionale e dettagliato. Attraverso un sito web, è possibile descrivere chi siamo, cosa facciamo e quali sono i nostri punti di forza in modo chiaro e convincente. Un sito ben progettato e curato trasmette professionalità e serietà, elementi che sono fondamentali per attrarre clienti fiduciosi e soddisfatti.

Inoltre, un sito internet permette ai professionisti di essere reperibili in qualsiasi momento e da qualsiasi luogo. Grazie alla presenza online, i clienti possono cercare informazioni sui servizi offerti senza dover necessariamente contattare direttamente il professionista. Questo non solo facilita la comunicazione tra professionista e cliente, ma permette anche di raggiungere un pubblico più ampio e diversificato.

Un altro vantaggio di avere un sito internet è la possibilità di mostrare il proprio portfolio o i propri lavori passati. I professionisti possono condividere casi di successo, progetti realizzati, recensioni e testimonianze dei clienti, dimostrando così la propria competenza e professionalità. Questo può essere un ottimo strumento per convincere i potenziali clienti della propria capacità di risolvere i loro problemi o soddisfare le loro esigenze.

Infine, un sito internet è fondamentale per rimanere competitivi sul mercato. Con la crescita dell'uso di internet da parte dei consumatori, chi non ha una presenza online rischia di restare indietro rispetto alla concorrenza. Un sito web ben ottimizzato per i motori di ricerca può aiutare i professionisti a posizionarsi tra i primi risultati di ricerca e ad essere trovati più facilmente dai clienti interessati ai propri servizi.

In conclusione, un sito internet è un potente strumento di marketing e comunicazione per i professionisti, che permette loro di presentarsi in modo professionale, essere reperibili in qualsiasi momento e mostrare la propria esperienza e competenza. Investire nella creazione e nella cura di un sito internet è quindi fondamentale per chiunque voglia distinguersi e avere successo nel proprio settore professionale.


La rinuncia del preavviso non deve essere pagata

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La rinuncia del datore di lavoro al periodo di preavviso, a fronte delle dimissioni del lavoratore, non fa sorgere il diritto di quest’ultimo al conseguimento dell’indennità sostitutiva, attesa la natura obbligatoria del preavviso

Il caso: dimissioni con preavviso del dipendente

Nel caso in esame, la Corte d’appello di Firenze aveva rigettato l’appello proposto dalla società datrice di lavoro avverso la sentenza del Giudice di primo grado con cui la società veniva condannata a pagare al dipendete l’indennità di preavviso, anche se in concreto il dipendente non aveva lavorato durante tale periodo poiché il datore di lavoro aveva espressamente rinunciato alla prestazione lavorativa. Il Giudice di prime cure, cui la Corte d’appello si è poi conformata, aveva in particolare evidenziato che, rispetto alla decisione del dipendente di dimettersi con preavviso, il datore è posto nella possibilità di scegliere tra la cessazione immediata del rapporto oppure la prosecuzione dello stesso per la durata del preavviso. Ne consegue tuttavia che, la parte che recede con effetto immediato ha l’obbligo di corrispondere all’altra parte l’indennità sostitutiva. Pertanto, il datore di lavoro, rispetto alla scelta di dimettersi esercitata dal dipendente, può esonerare quest’ultimo dalla prestazione lavorativa per la durata del preavviso, ma non può sottrarsi all’onere di corrispondere l’importo che sarebbe spettato per il periodo di preavviso. Avverso la decisione del Giudice di secondo grado la parte datoriale aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La rinuncia al periodo di preavviso

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 6782/2024, ha accolto, per quanto qui rileva, il motivo d’impugnazione formulato dalla datrice di lavoro con cui è stato evidenziato che la rinuncia al preavviso è una facoltà del datore di lavoro che egli esercita nella sua qualità di creditore, senza che, dall’esercizio di tale diritto, possa derivare una trasformazione della sua posizione giuridica in parte obbligata. Il Giudice di legittimità ha ritenuto fondata tale doglianza e, dopo aver dato conto delle diverse tesi in punto di natura, obbligatoria o reale del preavviso, nonché della funzione svolta dall’istituto in esame nell’ambito dei rapporti di lavoro, ha affermato che “nel contratto di lavoro a tempo indeterminato il preavviso non ha efficacia reale (…), ma ha efficacia obbligatoria, con la conseguenza che, nel caso in cui una delle parti eserciti la facoltà di recedere con effetto immediato, il rapporto si risolve altrettanto immediatamente, con l’unico obbligo della parte recedente di corrispondere l’indennità sostitutiva (…), a meno che la parte recedente, nell’esercizio del suo diritto potestativo, acconsenta, avendone interesse, alla continuazione del rapporto lavorativo, protraendone l’efficacia sono a termine del periodo di preavviso”. In ragione della natura obbligatoria dell’istituto del preavviso, discende, ha riferito la Corte, che la parte non recedente, qualora rinunci al preavviso, nulla deve alla controparte “la quale non può vantare alcun diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro fino al termine del preavviso; alcun interesse giuridicamente qualificato è, infatti, configurabile in favore della parte recedente; la libera rinunziabilità del preavviso esclude che a essa possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con le fonti delle obbligazioni indicate nell’art. 1173 c.c.”. La Corte ha in definitiva enunciato il principio secondo cui “in tema di rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la rinuncia del datore di lavoro al periodo di preavviso, a fronte delle dimissioni del lavoratore, non fa sorgere il diritto di quest’ultimo al conseguimento dell’indennità sostitutiva, attesa la natura obbligatoria del preavviso, dovendo peraltro escludersi che alla libera rinunziabilità del preavviso possano connettersi a carico della parte rinunziante effetti obbligatori in contrasto con la disciplina delle fonti delle obbligazioni di cui all’art. 1173 c.c.”.


COMMENTO SULLA SENTENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE A SEZIONI UNITE N.15340/2024

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Alcune riflessioni su quanto affermato dalle Sezioni Unite

L'ordinanza delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 15340 del 29/05/2024, su rinvio pregiudiziale del Tribunale di Salerno, a nostro avviso, contiene punti di criticità. In detta ordinanza sono stati trattati due temi relativi ai contratti di mutuo a tasso fisso: - quello della determinatezza/determinabilità dell'oggetto; - quello della "trasparenza". Di straforo è stato toccato il tema dell'anatocismo.

I

Circa il tema della determinatezza/determinabilità dell'oggetto così viene inquadrata la questione: "L'indagine sulla determinatezza dell'oggetto del contratto attiene alla costruzione strutturale dell'operazione negoziale, cioè è volta a verificare che essa abbia confini ben definiti con riguardo all'an e al quantum degli interessi (non legali) che devono essere pattuiti sulla base di criteri oggettivi e insuscettibili di dare luogo a margini di incertezza, non sulla base di elementi indefiniti o rimessi alla discrezionalità di uno dei contraenti". Tale premessa è sostanzialmente corretta ma non può essere trascurato un dato: in un mutuo con rimborso rateale non contano solo l'an e il quantum ma è rilevante anche il quomodo. Peraltro, il quomodo incide sullo stesso quantum degli interessi, posto che la pluralità dei regimi finanziari di calcolo del piano di rimborso stanno a significare diversità quantitativa degli interessi a seconda che si scelga l'uno o l'altro. Secondo le Sezioni Unite l'esigenza di determinatezza/determinabilità dell'oggetto è soddisfatta con la "chiara e inequivoca indicazione dell'importo erogato, della durata del prestito, della periodicità del rimborso e del tasso di interesse predeterminato". Qui, però, dobbiamo farci preliminarmente una domanda: cosa si intende per "oggetto del contratto"? L'oggetto, in un mutuo con rimborso rateale, non può non comprendere, fisiologicamente, necessariamente anche il criterio matematico di calcolo delle rate di rimborso del prestito. Per "oggetto del contratto" si deve intendere, quindi, il complessivo "regolamento degli interessi", ossia non solo l'indicazione del tasso (insieme all'importo del finanziamento, alla durata del prestito e alla periodicità del rimborso) ma anche il criterio prescelto attraverso il quale il tasso stesso viene applicato nel piano rateale. Il discorso entra ancor più in una zona di criticità allorquando viene richiamata la normativa del T.U.B. Scrive la Cassazione: "La doglianza concernente la mancata esplicitazione nel contratto del maggior costo del prestito come effetto del sistema 'composto' di capitalizzazione degli interessi non evidenzia un problema di determinatezza o indeterminatezza dell'oggetto del contratto ma, in ipotesi, di eventuale mancanza di un elemento tipizzante del contratto, previsto dall'art.117, comma 4, T.u.b. ('I contratti indicano il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati'), che darebbe luogo, semmai, a nullità testuale per la mancata indicazione di un 'prezzo' o costo aggiuntivo del prestito e all'applicazione del tasso sostitutivo". Il punto è che quell'elemento "tipizzante" del contratto (anzi, a maggior ragione se è "tipizzante"), intendendosi per esso il criterio prescelto di calcolo del piano di rimborso, entra a pieno titolo e con i crismi della necessarietà nella determinazione del regolamento degli interessi in quanto senza la sua esplicitazione resta del tutto indeterminato e indeterminabile l'oggetto circa le modalità con le quali viene fissato, all'interno del piano, il rapporto tempo per tempo (rata per rata) tra interessi e capitale. Per arrivare a tale conclusione non ci sarebbe neppure bisogno dell'art.117, comma 4, del T.U.B. ma è certo che il Testo Unico, nel prevedere quell' "elemento tipizzante", non fa altro che definire con più chiarezza, ove ce ne fosse bisogno, il contenuto indefettibile del contratto, quindi il suo oggetto minimo, fisiologico. Non c'entra nulla, poi, affermare, come leggiamo, che "l'indagine sulla determinatezza o indeterminatezza dell'oggetto del contratto non va compiuta con riferimento alla convenienza del contratto e delle sue clausole ...". Infatti, nessuno dice questo. Il problema è del tutto oggettivo (non soggettivo) ed oggi sembra che passi per "determinato" un contratto che tale, oggettivamente, non può mai essere in assenza di quell'elemento.

II

Il secondo tema affrontato è quello della "trasparenza". Anche su questa nozione occorre essere più chiari e, se possibile, più profondi. Per "trasparenza" non può essere intesa semplicemente la forma di pubblicità di un prodotto. La "trasparenza" nei contratti bancari esige che l'intera dinamica precontrattuale e contrattuale ne sia concretamente permeata, in modo tale che il cliente sia nella condizione di prestare liberamente e consapevolmente il suo consenso su un oggetto chiaro e determinato. Scrive la Suprema Corte nel capitolo 16: "Come puntualmente osservato dalla Procura Generale, la differenza tra i due piani di ammortamento non dipende dal fatto che il tasso di interesse effettivo nel caso di ammortamento 'alla francese' sia complessivamente maggiore di quello nominale, quanto piuttosto dall'essere tale effetto riconducibile alla scelta concordata del tempo e del modo del rimborso del capitale". Ma il punto è proprio questo: cosa significa "concordare" una scelta? In tal senso la preventiva "informazione" costituisce una precondizione necessaria ma non sufficiente per definire un negozio concordato. Insomma, il consenso deve essere effettivo e risultare in modo "trasparente" dal contratto su tutti i punti qualificanti, compreso quello di cui stiamo discutendo. Sempre nel capitolo 16 le Sezioni Unite scrivono: "... l'art.117 T.u.b. non richiedeva e non richiede tuttora (a fortiori a pena di nullità) l'esplicitazione del regime di ammortamento nel contratto e analogamente, a livello sistematico, non la richiede la normativa più recente". Il commento sull'art.117, 4° comma, del T.u.b. si ferma qui e pare, francamente, troppo poco. Se è vero, infatti, che tale norma non cita espressamente il "regime di ammortamento", è pur vero che essa menziona una categoria astratta e più ampia che lo contiene" : "... il tasso di interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati". Il criterio della capitalizzazione composta o della capitalizzazione semplice costituiscono "condizioni" attraverso le quali si declina il tasso di interesse e, in definitiva, si calcolano gli interessi da pagare. Vengono, poi, citate normative recenti per affermare che nessuna di esse prevederebbe l'obbligo di indicare il regime dell'ammortamento. Fra queste l'art.125 bis, comma 6, del T.u.b. che richiama l'art.121, comma 1, lettera e). Andrebbe considerata, però, anche la norma di cui all'art.125 bis, comma 5, del Tub, che così perentoriamente recita: "Nessuna somma può essere richiesta o addebitata al consumatore se non sulla base di espresse previsioni contrattuali". Ebbene, seguendo tale principio guida non possono essere richieste al consumatore le maggiori somme derivanti dall'utilizzo del criterio di capitalizzazione composta se non vi sia, a monte, una "espressa previsione contrattuale".

Concetto fondamentale espresso nella sentenza in commento è che le esigenze di trasparenza sarebbero soddisfatte dalla "chiara e inequivoca indicazione dell'importo erogato, della durata del prestito, del tasso di interesse nominale (TAN) ed effettivo (TAEG), della periodicità (numero e composizione) delle rate di rimborso con la loro ripartizione per quote di capitale e interessi". Ciò che conta, in sostanza, è che sia soddisfatta "la possibilità per il mutuatario di conoscere agevolmente l'importo totale del rimborso mediante una semplice sommatoria" Questo e questo solo interessa al mutuatario, il quale non può avere alcuna pretesa giuridicamente tutelata di conoscere in che modo si formano i dati di quella "sommatoria" e, quindi, di decidere se prestare il suo consenso sui criteri adottandi. Qui la criticità appare importante e il ragionamento, che passa attraverso quello che sembra un salto (perché mai il mutuatario si dovrebbe “accontentare” dei meri dati quantitativi?), rischia di entrare in collisione proprio con il valore guida della trasparenza. Aggiunge la Suprema Corte: "... il contratto 'trasparente' è quello che lascia intuire o prevedere il livello di rischio o di spesa del contratto (cfr. Cass. n.28884/2023), consentendo al consumatore di avere piena contezza delle condizioni della futura esecuzione del contratto sottoscritto, al momento della sua conclusione, e di essere in possesso di tutti gli elementi idonei a incidere sulla portata del suo impegno (Corte di Giustizia, 20 settembre 2018, cit., p.63 e 67); tale è quello di cui si discute, avendo l'istituto di credito assolto agli obblighi informativi a suo carico tramite il piano di ammortamento allegato al contratto, in base al quale al cliente è assicurata la possibilità di verificare la rispondenza dell'offerta alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria e di valutarne la convenienza confrontandola con altre offerte presenti eventualmente sul mercato". Insomma, potrebbe sembrare che la trasparenza implichi solo che il mutuatario possa “comprare” un prodotto preconfezionato, non anche che possa esigere la sua partecipazione attivanel processo formativo del contratto così che ogni suo elemento costitutivo sia espressione di una negoziazione, di una scelta, quale quella se gli interessi nel piano di ammortamento debbano essere calcolati sul capitale residuo o sul capitale in scadenza. Qui, invero, rischia di entrare in crisi la struttura stessa del contratto, che è l'"accordo di due o più parti per costituire, regolare o estinguere fra loro un rapporto giuridico patrimoniale". Si potrebbe, allora, toccare la nullità ai sensi degli artt.1418, 2° comma-1325 n.1 c.c., ossia l'assenza di "accordo fra le parti", elemento principe, basilare del contratto. Tornando al "piano di ammortamento, esso consente al mutuatario di ricavare i dati quantitativi degli interessi da pagare ma non di comprendere il criterio di calcolo adottato. Sembrerebbe che ciò che conti, ai fini della trasparenza, sia che venga fornita al cliente una informativa precontrattuale contenente il "riepilogo puntuale delle somme dovute alle varie scadenze tramite un piano redatto in modo chiaro e comprensibile che indichi la periodicità e composizione delle rate, precisando se si prevede il rimborso periodico del solo capitale, dei soli interessi o di entrambi, anziché mediante ricorso a formule lessicali o a espressioni matematiche che vorrebbero spiegare le modalità di calcolo degli interessi ma la cui esigenza di precisione si scontra con un livello di tecnicismo che sfugge alla comprensione dei più ". Si può osservare che se l'esplicitazione della formula matematica (della capitalizzazione composta o semplice) non è comprensibile ai più, ancor meno, evidentemente, tale comprensibilità può aversi leggendo puramente e semplicemente il piano di ammortamento. Non si comprende, invece, quali problemi ci sarebbero a produrre una "formula lessicale" chiara e comprensibile, tipo: "si conviene che il calcolo delle rate nel piano di ammortamento avverrà con il criterio detto 'della capitalizzazione composta', ossia calcolando gli interessi di ogni singola rata sull'intero capitale residuo nel periodo corrispondente alla rata stessa". Il cliente sarebbe consapevole di tale "condizione" (art.117, 4° comma, T.U.B.) e potrebbe, quindi, decidere se prestare o meno il consenso.

III

La sentenza delle Sezioni Unite ha toccato anche il tema dell'anatocismo. Facendo ogni dovuta riserva al singolo caso, ha comunque affermato che il piano di ammortamento alla francese "standardizzato" non comporta anatocismo perché nella formazione delle rate non c'è mai applicazione di interessi su interessi. Il discorso, però, si ferma a ciò che appare e non ci si pone il problema che l'anatocismo possa annidarsi come costo occulto, il che avviene proprio quando il mutuatario non abbia prestato il consenso sul sistema della capitalizzazione composta. In questo caso la frazione del capitale che, applicando il criterio della capitalizzazione semplice (interessi sul capitale esigibile, cioè in scadenza), sarebbe stata detratta dal capitale residuo, resta lì a generare interessi. Quella frazione, cioè, sta dove non dovrebbe stare, ossia sul conto del capitale residuo e se ciò è vero, essa costituisce interesse sul quale si calcolano altri interessi.

IV

C'è un altro punto da esaminare. A proposito del tema della "trasparenza", le Sezioni Unite ritengono idoneo a soddisfarla il piano di ammortamento presentato dalla banca al cliente, in quanto questi riceve(rebbe) tutte le informazioni di cui ha bisogno. In tal modo, si spiega, "è assicurata la possibilità di verificare la rispondenza dell'offerta alle proprie esigenze e alla propria situazione finanziaria e di valutarne la convenienza confrontandola con altre offerte presenti eventualmente sul mercato" In quell'avverbio - "eventualmente" - c'è tanto da capire. Sarebbe interessante, infatti, sapere in quanti casi, in quale percentuale, prendendo la mole dei mutui stipulati in Italia negli ultimi trent’anni, sia stata applicata la capitalizzazione semplice e non quella composta. Qui il discorso della "trasparenza" si lega inevitabilmente a quello della concorrenza.

V

Le Sezioni Unite hanno dichiaratamente tenuto fuori dalla sentenza i casi nei quali manchi l'allegazione del piano di ammortamento. Quid iuris in tale caso? La risposta non dovrebbe essere troppo complicata, partendo dal dato che secondo la Suprema Corte il piano di ammortamento offre il "riepilogo puntuale delle somme dovute alle varie scadenze tramite un piano redatto in modo chiaro e comprensibile che indichi la periodicità e composizione delle rate, precisando se si prevede il rimborso periodico del solo capitale, dei soli interessi o di entrambi" . Il piano di ammortamento soddisfa, secondo la Suprema Corte, l'esigenza della trasparenza tanto che è ritenuto inutile il "ricorso a formule lessicali o a espressioni matematiche che vorrebbero spiegare le modalità di calcolo degli interessi ma la cui esigenza di precisione si scontra con un livello di tecnicismo che sfugge alla comprensione dei più". Ora, se viene a mancare il piano di ammortamento, tutto quel discorso non può più autosostenersi e, a quel punto, non dovrebbero esservi dubbi sulla indeterminatezza dell'oggetto del contratto e sulla violazione delle regole sulla trasparenza di cui all'art.117 T.U.B.

VI

Infine, è rimasto fuori dall'ambito del pronunciamento delle Sezioni Unite il tema dei mutui a tasso variabile. Qui la Suprema Corte ha richiamato la sentenza della C.G.U.E. del 13-7-2023, C-265/22, che ha così statuito: "Una clausola che preveda, nell'ambito di un contratto di mutuo ipotecario, una remunerazione di tale mutuo mediante interessi calcolati sulla base di un tasso variabile con riferimento a un indice ufficiale, il requisito di trasparenza deve essere inteso nel senso che impone, in particolare, che un consumatore medio, normalmente informato e ragionevolmente attento e avveduto, sia posto in grado di comprendere il funzionamento concreto della modalità di calcolo di tale tasso e di valutare in tal modo, sul fondamento di criteri precisi e intelligibili, le conseguenze economiche, potenzialmente significative, di una tale clausola sulle sue obbligazioni finanziarie. Il giudice nazionale deve verificare non solo il contenuto delle informazioni fornite dal mutuante nell'ambito della negoziazione del contratto di mutuo in discussione, ma altresì il fatto che i principali elementi relativi al calcolo dell'indice di riferimento siano facilmente accessibili, grazie alla loro pubblicazione". Peraltro, in tale sentenza la Corte di Giustizia ha espresso anche un principio che tende ad abbattere ogni comportamento di abusività, di mancanza di trasparenza, di pratica occulta, il tutto secondo una portata ampia, come tale non solo, a nostro avviso, relativa ai mutui a tasso variabile ma anche a quelli a tasso fisso: "Una clausola contrattuale deve essere formulata in modo chiaro e comprensibile e, nel caso dei contratti di mutuo, gli istituti finanziari debbono fornire ai mutuatari informazioni sufficienti a consentire a questi ultimi di assumere le proprie decisioni con prudenza e in piena cognizione di causa. Il giudice nazionale, nel valutare le circostanze ricorrenti al momento della conclusione del contratto, e deve verificare che sia stato comunicato al consumatore interessato il complesso degli elementi idonei a incidere sulla portata del suo impegno e che gli consentono di valutare quest'ultima, segnatamente, per quanto riguarda il costo totale del mutuo. Svolgono un ruolo determinante in siffatta valutazione, da un lato, la questione di accertare se le clausole siano formulate in modo chiaro e comprensibile tale da consentire a un consumatore medio, ossia un consumatore normalmente informato e ragionevolmente attento ed avveduto, di valutare un costo del genere e, d'altro lato, la menzione o la mancata menzione nel contratto di credito delle informazioni considerate come essenziali alla luce della natura dei beni o dei servizi che costituiscono l'oggetto del suddetto contratto".