Con la sentenza n. 33813/2023, la Corte di Cassazione ha stabilito che non occorre l’autorizzazione dell’assemblea, affinché l’amministratore possa presentare querela e agire in giudizio.
IL CASO
I giudici d’appello confermavano la decisione del Tribunale, che aveva accertato la responsabilità penale di Tizia e Caio, in ordine al delitto di furto di acqua, nella qualità di condòmini, con violenza sulle cose, gravati entrambi da recidiva reiterata specifica e infraquinquennale.
I ricorsi per cassazione proposti con unico atto nell'interesse di Tizia e Caio constavano di un’unica censura.
I ricorrenti deducevano violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla qualificazione giuridica della condotta, ritenuta dalla Corte distrettuale come furto, piuttosto che come appropriazione indebita, come da plurime sentenze della Corte di Cassazione richiamate dai ricorrenti, in quanto l'acqua veniva sottratta nel tratto che andava dal contatore unico condominiale ai contatori destinati a gruppi di condòmini, cosicché i ricorrenti potevano ritenersi avere la disponibilità dell'acqua condominiale destinata alle cose comuni.
Tizia e Caio rilevavano la illogicità della sentenza impugnata che pur prendendo atto di ciò proseguiva nel configurare il furto.
Altresì, lamentavano che la querela sporta dall'amministratore del condominio non risultava corredata dalla delibera assembleare, pertanto difettava la condizione di procedibilità.
LA PRONUNCIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE
La Suprema Corte dava torto a Tizia e Caio.
I giudici di legittimità sottolineavano che l’erogazione dell'acqua per il condominio costituisce servizio comune e che è compito dell’amministratore provvedere al pagamento delle spese necessarie a tale servizio, come pure rendere conto ai fini della approvazione del relativo documento da parte dell'assemblea condominiale.
Dunque, spetta all'amministratore verificare le maggiori spese sostenute per i servizi comuni, anche per evitare di dover rendere conto di spese sostenute indebitamente.
In tal senso, va ritenuto legittimato l'amministratore di condominio a presentare la querela, anche in assenza di delibera condominiale, in ragione della previsione dell'art. 1131, comma 1, c.c., secondo cui “Nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'articolo 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea, l'amministratore ha la rappresentanza dei partecipanti e può agire in giudizio sia contro i condomini sia contro i terzi”.
Inoltre, gli Ermellini richiamavano consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo il quale “L’amministratore di condominio, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, può proporre opposizione a decreto ingiuntivo, nonché impugnare la decisione del giudice di primo grado, per tutte le controversie che rientrino nell'ambito delle sue attribuzioni ex art. 1130 cod. civ., quali quelle aventi ad oggetto il pagamento preteso nei confronti del condominio dal terzo creditore in adempimento di un'obbligazione assunta dal medesimo amministratore per conto dei partecipanti, ovvero per dare esecuzione a delibere assembleari, erogare le spese occorrenti ai fini della manutenzione delle parti comuni o l'esercizio dei servizi condominiali”.
Per i giudici di piazza Cavour, “Proprio le attribuzioni dell'amministrazione e la relazione di detenzione qualificata con i beni che garantiscono i servizi comuni, come l'acqua, oltre che la gestione economica ordinaria del condominio, dunque delle risorse delle quali l'amministratore deve rendicontare, lo pongono in relazione di detentore qualificato rispetto all'acqua e al denaro speso per le esigenze condominiali, cosicché deve intendersi anche sotto tale profilo persona offesa legittimata alla proposizione della querela”.
In virtù di ciò, il Tribunale Supremo rigettava i ricorsi e condannava Tizia e Caio al pagamento delle spese processuali.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, ai sensi degli artt. 1129 c.c. e 64 disp. att., c.c., costituisce un provvedimento di volontaria giurisdizione, in quanto sostitutivo della volontà assembleare ed ispirato dall’esigenza di assicurare una rapida ed efficace tutela dell’interesse alla corretta gestione dell’amministrazione condominiale in ipotesi tipiche di compromissione della stessa. L’art. 1129 c.c. affida la titolarità del potere di revoca solamente all’assemblea, mentre la revoca disposta dall’autorità giudiziaria ha un esplicito carattere sanzionatorio, sicché, rispetto ad essa, il ruolo del singolo condomino è esclusivamente di impulso procedimentale. Pur incidendo sul rapporto di mandato tra condomini ed amministratore, il decreto di revoca non ha, pertanto, carattere decisorio, non precludendo la richiesta di tutela giurisdizionale piena, in un ordinario giudizio contenzioso, relativa al diritto su cui il provvedimento incide. (Cass. Civ. Sez. II, 02/02/2023, n. 3198)
Nel giudizio promosso da un condomino per la revoca dell'amministratore, interessato e legittimato a contraddire è soltanto l'amministratore (a titolo personale), non anche il Condominio, che, pertanto, non può intervenire in adesione all'amministratore, né beneficiare della condanna alle spese del condomino ricorrente. (Cass. Civ. Sez. II, 30/01/2023, n. 2726)
L’omessa dimostrazione del possesso dei requisiti di cui all’art. 71-bis, lett. g), disp. att. c.c. e dell’ottemperanza all’obbligo di una continuativa formazione periodica, a parere di questo collegio, costituisce già di per sé una grave irregolarità che giustifica la revoca dell’amministratore, in linea con l’orientamento maggioritario della giurisprudenza di merito. (Trib. Vasto, 12/11/2022, n. 4454)
L’amministratore di condominio, in ipotesi di revoca deliberata dall’assemblea prima della scadenza del termine previsto nell’atto di nomina, ha diritto, oltre al soddisfacimento dei propri eventuali crediti, anche al risarcimento dei danni, in applicazione dell’art. 1725, comma 1, c.c., salvo che sussista una giusta causa, indicativamente ravvisabile tra quelle che giustificano la revoca giudiziale dello stesso incarico. (Cass. Civ. Sez. II, 19/03/2021, n. 7874)
È inammissibile il ricorso per cassazione, ai sensi dell’articolo 111 della Costituzione, avverso il decreto con il quale la corte di appello provvede sul reclamo avverso il decreto del tribunale in tema di revoca dell’amministratore di condominio, previsto dagli articoli 1129 del codice civile e 64 delle disposizioni attuative del codice civile, trattandosi di provvedimento di volontaria giurisdizione; tale ricorso è, invece, ammissibile soltanto avverso la statuizione relativa alla condanna al pagamento delle spese del procedimento, concernendo posizioni giuridiche soggettive di debito e credito discendenti da un rapporto obbligatorio autonomo. (Cass. Civ. Sez. VI, 22/09/2020, n. 19859)
In tema di condominio, il singolo condomino è legittimato a chiedere la revoca giudiziale dell’amministratore in tutti i casi – seppure non tipici – di comportamenti contrari ai doveri imposti dalla legge e dal regolamento o che, comunque, pregiudichino la gestione economica o sociale del condominio, e ciò a prescindere dalla inerzia o volontà contraria dell’assemblea. In tal giudizio, è esclusa la mediazione in quanto si tratta di un procedimento di volontaria giurisdizione. (Trib. Milano sez. giurisd., 28/03/2018, n. 955)
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Cass. Civ., sez. VI, ord. n. 16613 del 23/05/2022
Il Tribunale accoglieva l’appello proposto da Tizia avverso la sentenza del Giudice di Pace con cui era stata respinta l’opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dal condominio Alfa nei confronti dell’appellante per il pagamento delle spese condominiali. Secondo il Tribunale, era fondato il motivo di appello di Tizia relativo al proprio difetto di legittimazione passiva rispetto alle pretese creditorie avanzate dal condominio, dal momento che la stessa era mera assegnataria della casa familiare – di proprietà esclusiva del coniuge - a seguito di separazione personale. Il giudice di secondo grado osservava che le deliberazioni assembleari con le quali vengono ripartite le spese condominiali sono azionabili solo verso i condòmini, poiché unici legittimati a partecipare all’assemblea medesima esercitando il diritto di voto. Altresì, secondo il Tribunale, il soggetto assegnatario della casa coniugale acquista un semplice diritto di godimento sul bene, inidoneo a far gravare sull’assegnatario stesso l’obbligo di pagamento delle spese condominiali. Per il giudice del gravame, il principio secondo il quale le spese condominiali che riguardano la casa familiare oggetto di provvedimento di assegnazione rimangono a carico dell’assegnatario, ha effetto esclusivamente nei rapporti interni fra i coniugi e non è per nulla rilevante nei confronti del condominio. Dunque, il giudice di secondo grado riformava la sentenza del Giudice di pace e revocava il decreto ingiuntivo intimato dal condominio.
Davanti alla Suprema Corte di Cassazione, il condominio Alfa lamentava, in particolare, il fatto che la sentenza impugnata avesse considerato l’assegnataria della casa familiare esclusa dall’obbligo di pagamento delle spese condominiali. Difatti, parte ricorrente sosteneva che l’assegnatario deve ritenersi soggetto sul quale incombono le spese che concernono la manutenzione e l’uso del bene.
I giudici Ermellini, nel dichiarare il ricorso inammissibile, stabilivano che “L'amministratore di condominio ha diritto di riscuotere i contributi per la manutenzione e per l’esercizio delle parti e dei servizi comuni esclusivamente da ciascun condomino, e cioè dall’effettivo proprietario o titolare di diritto reale sulla singola unità immobiliare, sicché è esclusa un'azione diretta nei confronti del coniuge o del convivente assegnatario dell’unità immobiliare adibita a casa familiare, configurandosi il diritto al godimento della casa familiare come diritto personale di godimento "sui generis"”.
Secondo il Tribunale Supremo, contro il conduttore della singola unità immobiliare “può invece agire in risoluzione il locatore, ove si tratti di oneri posti a carico del locatario sulla base del rapporto contrattuale fra loro intercorrente”.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Con la riforma del condominio (Legge n. 220/2012), il legislatore ha introdotto nel codice civile una disposizione sul cosiddetto Rendiconto condominiale: con il nuovo articolo 1130-bis c.c., infatti, sono stati resi ufficiali importanti criteri guida che riguardano il contenuto e le norme tecniche che disciplinano tale fondamentale strumento. L’amministratore di condominio, al pari di ogni mandatario di interessi altrui, ha l’obbligo di rendere al mandante il conto dell’attività da lui esercitata. Deve cioè fornire una corretta e analitica informazione relativamente alle spese assunte nell’interesse comune, nonché alla gestione del denaro dei diversi proprietari. In particolare, “’obbligo di rendiconto è legittimamente adempiuto quando chi vi sia tenuto fornisca la prova, attraverso i necessari documenti giustificativi, non soltanto delle somme incassate e dell’entità causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi di fatto funzionali alla individuazione e al vaglio delle modalità di esecuzione dell’incarico, onde stabilire se il suo operato si sia adeguato a criteri di buona amministrazione (Cassazione Civile, 14 novembre 2012, n. 19991). La riforma, oltre ad incidere sulla professionalità e sulle conoscenze giuridiche dell’amministratore, ha anche modificato gli obblighi di quest’ultimo verso i proprietari, soprattutto per quanto concerne le modalità di gestione, non tanto e non solo dei beni condominiali ex art. 1117 c.c., ma, in modo particolare, delle somme gestite in entrata e in uscita e delle modalità di descrivere l’uso di detti introiti. Il rendiconto viene comunemente chiamato consuntivo o anche bilancio consuntivo. Si tratta di un documento contabile che deve essere impostato in modo tale da distinguere spese ordinarie e spese straordinarie. Il rendiconto è composto dai seguenti elementi: il registro di contabilità; il riepilogo finanziario; una nota di accompagnamento sintetica, esplicativa della gestione annuale. Il rendiconto va presentato almeno una volta all’anno all’assemblea ordinaria e deve essere da quest’ultima approvato. A questo proposito, la convocazione dell’assemblea dev’essere fatta entro 180 giorni dalla chiusura dell’esercizio annuale. L’eventuale omissione può comportare la revoca giudiziale dell'amministratore, trattandosi di grave irregolarità; nel caso in cui dovesse pendere un provvedimento giudiziale di revoca, le delibere di approvazione tardiva dei rendiconti, eventualmente adottate nelle more del procedimento in questione, non varranno a sanare l'inadempimento dell'amministratore, il quale ha tra le sue funzioni fondamentali, quella di rendere il conto della propria gestione. L'amministratore di condominio ha il dovere di fare transitare tutte le entrate e le uscite dal conto corrente del condominio allo scopo di permettere l'immediata verifica della situazione attraverso un semplice controllo fra registro di contabilità e conto corrente condominiale. Nell’ambito del condominio, infatti, vige un obbligo di tracciabilità delle operazioni contabili in entrata e in uscita, o meglio, più che un obbligo di tracciabilità, si tratta di un obbligo a carico dell'amministratore, imposto ex lege, di avere una contabilità tale da permettere un riscontro o una verifica immediata delle operazioni contabili in entrata e in uscita, che si fonda su una semplice operazione di confronto fra il registro di contabilità e l'estratto conto corrente condominiale. Mediante il rendiconto condominiale vengono giustificate le spese addebitate ai condomini, ragione per la quale il conto consuntivo della gestione condominiale non deve essere strutturato in base al principio della competenza, bensì a quello di cassa; l'inserimento della spesa va pertanto annotato in base alla data dell'effettivo pagamento, così come l'inserimento dell'entrata va annotato in base alla data dell'effettiva corresponsione. La mancata applicazione del criterio di cassa non rende intelligibile il bilancio e riscontrabili le voci di entrata e di spesa e le quote spettanti a ciascun condomino. Il criterio di cassa, in base al quale vengono indicate le spese e le entrate effettive consente infatti di conoscere esattamente la reale consistenza del fondo comune. Laddove il rendiconto sia redatto, invece, tenendo conto sia del criterio di cassa e che di competenza, cioè indicando indistintamente, unitamente alle spese ed alle entrate effettive, anche quelle preventivate senza distinguerle fra loro, può sussistere confusione (Cassazione Civile, sez. II, 30 ottobre 2018 n. 27639). A proposito dell’obbligo di rendiconto, è importante annoverare un’altra pronuncia della Suprema Corte, secondo cui l’obbligo di rendiconto che, quale mandatario con rappresentanza dei condomini, l’amministratore è tenuto a osservare con riferimento alle somme detenute per conto del condominio, può dirsi adempiuto quando egli abbia fornito la prova, attraverso i necessari documenti giustificativi, non soltanto della somma incassata e dell’entità e causale degli esborsi, ma anche di tutti gli elementi funzionali all’individuazione e al vaglio delle modalità di esecuzione dell’incarico, onde stabilire se il suo operato si sia adeguato, o meno, a criteri di buona amministrazione. Nella specie, la S.C., in una fattispecie anteriore all’entrata in vigore della Legge n. 220 del 2012, ha confermato la decisione di merito che, sulla base delle prove raccolte nel processo, aveva ritenuto raggiunta la dimostrazione del versamento di una somma di pertinenza del condominio su un conto corrente di gestione intestato all’amministratore e del suo successivo impiego per coprire passività condominiali. (Cassazione Civile, sez. VI, 17/01/2019, n. 1186). L’obbligo dell’amministratore di provvedere alla redazione del rendiconto annuale sulla gestione, non vincola lo stesso a depositare la documentazione giustificativa, dal momento che i condomini intervenuti possono prendere visione o estrarre copia a proprie spese. L’obbligo di presentazione del rendiconto è indipendente dalla nomina di un nuovo amministratore o dalla riconferma di quello precedente, in quanto trattasi di elementi che non incidono affatto sulla rendicontazione. È doveroso, però, evidenziare che, a tutela del proprietario, la nomina, oppure la riconferma, dell'amministratore di condominio è fortemente collegata alla presentazione dei rendiconti, dunque, è opportuno che i proprietari non riconfermino l'amministratore in ritardo con la presentazione dei rendiconti.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Partiamo dal presupposto che l’Autorizzazione Paesaggistica sia un atto autonomo richiesto in virtù di una specifica disciplina, con validità di cinque anni.
Negli interventi di edilizia libera l’autorizzazione de quò risulta necessaria laddove presente vincolo paesaggistico, dovendo conseguire preliminarmente all’inizio dei lavori tale atto di assenso.
Se volessimo dare uno sguardo al rapporto tra titolo edilizio ed autorizzazione paesaggistica, emerge dall’art.146 comma 9 del D.Lgs 42/2004 essere l’Autorizzazione Paesaggistica “atto autonomo e presupposto dei titoli edilizi” ragion per cui il titolo abilitativo edilizio non può essere rilasciato o reso effettivo senza il previo parere, nulla osta o autorizzazione favorevole da parte della Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali.
Resta, comunque, come da costante giurisprudenza, valevole il fatto che la mancata acquisizione non renda illegittimo il titolo edilizio, più precisamente, trattandosi di due diverse tipologie di atti, autonomi l’uno rispetto all’altro.
Le disposizioni del Testo Unico per l’Edilizia, d. P.R. 380/2001 in relazione agli atti di assenso
Nell’introdurre la disciplina urbanistico – edilizia è l’art. 1 “Ambito di applicazione” al comma 1 a riportare il testo inerisca “i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia” facendo comprendere al lettore, al successivo comma 2, lo stesso testo unico per l’edilizia non attenga in alcun modo quanto riguardante normative settoriali specifiche, pertanto da quel punto di vista non ne legittima la liceità. In tal senso viene precisato, anche nel disciplinare l’attività edilizia non soggetta ad alcuna comunicazione allo Sportello Unico per l’Edilizia, ovvero al protocollo del Comune per gli enti sprovvisti di S.U.E., che non possano essere iniziati i lavori, sia nel recitare “Restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali e ambientali contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (oggi decreto legislativo 42/2004), la normativa di tutela dell’assetto idrogeologico, e le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”.
Non si limita ancora il concetto disposto dal T.U.E., ripreso, ulteriormente al comma 1 dell’art.6 “Attività edilizia libera”, che testualmente recita: “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisimiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, i seguenti titoli sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo edilizio […]”, proseguendo il disposto normativo con la elencazione delle opere.
Resta inteso che il mancato conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica sia condizione di inefficacia, ma non di validità del titolo edilizio come confermato al prima citato comma 9 dell’art.146: “i lavori non possano essere iniziati in difetto dell’autorizzazione paesaggistica, senza riferimento al titolo edilizio”.