Il fatto che il regolamento condominiale obblighi il singolo condomino a installare l’impianto di climatizzazione sul proprio balcone non ne impedisce l’installazione sulle parti comuni dell’edificio, come, ad esempio, il lastrico solare.
Ciò è quanto ha stabilito la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 4099/2023.
Tizia, proprietaria di alcune unità immobiliari site nel condominio Alfa, citava in giudizio, innanzi al Giudice di Pace, l’ente di gestione per sentir dichiarare l’annullamento della delibera assunta dall’assemblea con riferimento al punto n. 3 dell’ordine del giorno che le imponeva l’immediata rimozione dei motori per il condizionamento dei suoi locali che aveva installato sul lastrico solare, nonché il ripristino dello stato dei luoghi.
L’attrice asseriva di essere legittimata all’installazione in questione, rientrando ciò nelle facoltà concesse al condomino dall’art. 1102 c.c.
Resisteva il Condominio che eccepiva l’incompetenza per materia del Giudice di Pace adito e, nel merito, ne chiedeva il rigetto.
Il Giudice di Pace dichiarava la propria incompetenza; la causa veniva riassunta da Tizia innanzi al Tribunale, che rigettava la domanda e condannava l’attrice al pagamento delle spese processuali.
Tizia proponeva appello asserendo la legittimità dell’installazione dei motori di condizionamento sul lastrico solare, essendo ciò perfettamente in linea con il disposto dell’art. 1102 c.c., secondo cui “Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa”.
I giudici del gravame davano ragione a Tizia accogliendo l’appello.
La Corte territoriale precisava quanto segue:
• l’art. 5 del regolamento condominiale prevede che sulle proprietà private dei condòmini è consentita l’installazione di motori per la climatizzazione esclusivamente all’interno dei balconi di proprietà a distanza di almeno cm 150 dal parapetto;
• non è contestato fra le parti che i locali di proprietà dell’appellante, ubicati al quarto piano dello stabile, siano privi di balconi, dotati esclusivamente di finestre insistenti sulla facciata;
• ai sensi dell’art. 1102 c.c., ciascun partecipante può servirsi della cosa comune a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto;
• il posizionamento di un impianto di condizionamento sul lastrico solare, in particolare, non esclude il pari godimento della cosa da parte degli altri condòmini e non costituisce alterazione della destinazione del bene (Cass. 10968/2014);
• l’utilizzo di una singola porzione di un bene in comproprietà fra i condòmini (ad esempio di una piccola porzione sul lastrico per installare l’impianto di condizionamento), non può considerarsi “sottrazione” di spazi comuni.
Pertanto, secondo la Corte capitolina, l’intervento in questione, tenuto anche conto della esiguità dell’area occupata, doveva considerarsi legittimo e non poteva essere impedito.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
È legittimo abbattere un muro per fare ingresso nel cortile condominiale?
A tale interrogativo ha fornito risposta la Suprema Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 1849 del 21 gennaio 2022.
In particolare, il Tribunale Supremo ha specificato che “la demolizione di un muro volta a facilitare l'accesso sul cortile comune è legittima solo se realizzata in modo da non pregiudicare né la normale funzione del cortile, che è di regola, quella di fornire aria e luce agli immobili circostanti, né le possibilità di utilizzazione particolare eventualmente prospettate dagli altri condomini”.
Difatti, l’art. 1102 c.c. insegna che la cosa comune può essere utilizzata dal condomino anche in modo particolare e diverso dal suo normale uso a condizione che ciò non alteri l'equilibrio fra le concorrenti utilizzazioni attuali o potenziali altrui e non determini pregiudizievoli invadenze dell'ambito dei coesistenti diritti degli altri proprietari.
Poiché la vicenda posta al vaglio degli Ermellini concerneva un accesso creato in favore di un fondo collegato ex art. 1117 c.c. alla comproprietà del cortile, i giudici di legittimità precisavano che proprio perché ciascun condomino è libero di servirsi della cosa comune, anche per fine esclusivamente proprio, traendo ogni possibile utilità, il condomino che si serve dell'area cortilizia nel rispetto della sua destinazione, al fine di trarne maggiore vantaggio nel godimento di un’unità immobiliare già strutturalmente e funzionalmente collegata al bene comune, come presuppone l’art. 1117 c.c., lo fa nell’esercizio del diritto di condominio, piuttosto che avvalendosi di una servitù. Al contrario, dall'uso del bene comune a favore del fondo di proprietà esclusiva oltre i limiti fissati dall'art. 1102 c.c. può discendere, nel concorso degli altri requisiti di legge, l'usucapione di una servitù a carico della proprietà condominiale.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
La Suprema Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 3440 del 3 febbraio 2022, pronunciandosi in materia condominiale, ha stabilito quali sono i casi in cui l’innovazione è vietata.
Nella vicenda in esame, Tizio impugnava la delibera condominiale adottata dal condominio Alfa, che aveva deciso l’installazione nella piazzetta condominiale di strutture fisse volte ad impedire il parcheggio, deducendone l’annullabilità ovvero la nullità. Inoltre, domandava di accertare incidenter il proprio diritto di proprietà ovvero il diritto reale di uso o di servitù sull’area adibita a parcheggio antistante il proprio ufficio, assumendo anche l’illegittimità della richiesta di contributo pro quota per i lavori approvati. Infine, Tizio chiedeva la condanna del convenuto al risarcimento dei danni patiti.
Poiché il giudice di prime cure non accoglieva le domande dell’attore ed anche la Corte d’Appello rigettava il gravame, Tizio si rivolgeva alla Cassazione.
Il Tribunale Supremo, nel dichiarare il ricorso inammissibile, precisava che “nel condominio sono vietate le innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un solo condomino, comportandone una sensibile menomazione dell'utilità, secondo l'originaria costituzione della comunione, ma che l'indagine volta a stabilire se, in concreto, un'innovazione determini una sensibile menomazione dell'utilità che il condomino ritraeva dalla parte comune, secondo l'originaria costituzione della comunione, ovvero se la stessa, recando utilità ai restanti condomini, comporti soltanto per uno o alcuni di loro un pregiudizio limitato, che non sia tale da superare i limiti della tollerabilità, è demandata al giudice del merito, il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimità, se non nei limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.”.
Secondo gli Ermellini, nel caso di specie, le opere approvate non potevano rientrare nella nozione di innovazione, non essendo stata riscontrata l’esistenza di un diritto del singolo condomino a trarre utilità sotto forma di parcheggio dal bene comune, suscettibile di essere menomato dalla collocazione di cubi di cemento.
Inoltre, le installazioni non erano lesive del decoro del bene, né tantomeno impedivano il pur limitato uso della piazzetta come consentito dal regolamento, essendo stata riscontrata la permanente possibilità di accesso di veicoli per l’attività di carico e scarico.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
Il modello 770 è un documento fiscale che i sostituti d'imposta, i quali per legge sostituiscono il contribuente nei rapporti con il fisco, sono tenuti a presentare all'autorità competente per la dichiarazione dei redditi.
In condominio, il sostituto d’imposta è l’amministratore, essendone quest’ultimo il legale rappresentante.
Ciò lo si evince dall’art. 23 del d.p.r. n. 600/73, secondo cui, “Gli enti e le società indicati nell'art. 87, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, le società e associazioni indicate nell'art. 5 del predetto testo unico e le persone fisiche che esercitano imprese commerciali, ai sensi dell'art. 51 del citato testo unico, o imprese agricole, le persone fisiche che esercitano arti e professioni il curatore fallimentare, il commissario liquidatore nonché il condominio quale sostituto d'imposta, i quali corrispondono somme e valori di cui all'art. 48 dello stesso testo unico, devono operare all'atto del pagamento una ritenuta a titolo di acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche dovuta dai percipienti, con obbligo di rivalsa. Nel caso in cui la ritenuta da operare sui predetti valori non trovi capienza, in tutto o in parte, sui contestuali pagamenti in denaro, il sostituito è tenuto a versare al sostituto l'importo corrispondente all'ammontare della ritenuta”.
Del resto, l'art. 1130 n. 5 c.c. specifica che l'amministratore è tenuto ad eseguire gli adempimenti fiscali e, in particolare, secondo l'art. 1129, ottavo comma, c.c., l'amministratore uscente è tenuto “ad eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto ad ulteriori compensi”.
Ciò significa che quest’ultimo deve inviare il modello 770 nell’ipotesi in cui la scadenza avvenga prima del passaggio di consegne; qualora non adempia a quest’obbligo, risponde al condominio dei danni, fermo restando l'obbligo del nuovo amministratore di riparare alla mancanza, provvedendo all'invio tardivo.
Il modello 770 deve essere presentato all'Agenzia delle Entrate entro il giorno 31 del mese di ottobre di ogni anno.
L’invio di detto documento fiscale può essere effettuato anche da un intermediario abilitato, il quale può provvedere anche alla completa predisposizione del modello.
È prevista l’applicazione di sanzioni amministrative nel caso in cui l’amministratore di condominio non provveda alla presentazione del modello 770 nei tempi e nei modi richiesti.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'
La volontà dell'assemblea condominiale viene espressa attraverso un atto giuridico che prende il nome di delibera. Dunque, la delibera non è altro che l'espressione della volontà dei condomini riuniti in assemblea. Le delibere assembleari possono essere di due tipi: 1) positive, ossia quando l'assemblea decide che debba essere fatta una determinata cosa (ad esempio, nomina o revoca dell’amministratore); 2) negative, quando l'assise boccia una proposta sottoposta alla sua attenzione (ad esempio, bocciatura del rendiconto condominiale). La delibera, una volta adottata, come previsto dal primo comma dell'articolo 1137 c.c., è automaticamente obbligatoria e operativa per tutti i condomini. La delibera assembleare deve essere messa per iscritto, come previsto dal settimo comma dell'articolo 1136 c.c. La forma scritta, oltre a lasciare una traccia del lavoro svolto dall'assemblea, serve per dare ai condomini assenti la possibilità di conoscere la delibera adottata e, se del caso, impugnarla. Di regola, l'adozione della forma scritta è richiesta ad probationem, cioè al fine di poter provare, in un eventuale giudizio, che quella determinata delibera è stata effettivamente adottata. L'impugnazione di una delibera negativa va esperita in sede contenziosa e non in volontaria giurisdizione. La quaestio nasce dal fatto che una donna ha impugnato una delibera negativa in sede di volontaria giurisdizione ai sensi dell'art. 1105, comma 4, c.c., ma il giudice, non riconoscendo i presupposti previsti dalla norma, ha respinto il ricorso e lo ha dichiarato inammissibile; la stessa, dunque, ha deciso di ricorrere in Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost., ma, anche in tal caso, la domanda è stata respinta, in quanto inammissibile (Cass. n. 15697/2020). È ormai giurisprudenza consolidata quella secondo cui il provvedimento emesso in sede di volontaria giurisdizione ai sensi dell'art. 1105 c.c. non è impugnabile ai sensi dell'art. 111 Cost. in Cassazione, in quanto trattasi di un provvedimento privo di carattere decisorio e definitivo. Esso è, infatti, ai sensi degli artt. 739, 742 e 742 bis c.p.c., revocabile o reclamabile, e la stessa cosa vale per il provvedimento emesso in fase di reclamo. Di conseguenza, il relativo ricorso proposto presso la Corte di Cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. è inammissibile. Quella contestata dalla donna è una delibera avente contenuto negativo; ciò significa che l'assemblea ha deliberato in senso non favorevole alla richiesta della condomina. Laddove esistano gli estremi di invalidità, la strada da percorrere è, senza ombra di dubbio, quella dell'impugnazione ai sensi dell'art. 1137, comma 2, c.c., ai sensi del quale "contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio ogni condomino assente, dissenziente o astenuto può adire l'autorità giudiziaria chiedendone l'annullamento nel termine perentorio di trenta giorni, che decorre dalla data della deliberazione per i dissenzienti o astenuti e dalla data di comunicazione della deliberazione per gli assenti". Decorso inutilmente il termine di trenta giorni senza che sia stato notificato un atto di citazione o avviato il procedimento di mediazione, tutti i vizi che avrebbero determinato l’annullabilità della delibera devono ritenersi definitivamente sanati. Inoltre, i termini devono intendersi di decadenza e non di prescrizione: ciò vuol dire che non possono aversi effetti interruttivi. Il giudice non ha però il compito di sostituire la delibera impugnata con una valida. La competenza in ordine alla sostituzione rimane in capo all’organo assembleare. Come è stato anche affermato dalla stessa Corte di legittimità, il codice civile, ai fini dell’impugnabilità, non fa differenza tra delibere che approvino o meno le richieste dei condomini. Secondo la Cassazione, nella comunione, prima di rivolgersi al giudice, occorre tentare il passaggio assembleare. Nel caso in cui l'assemblea decida in maniera sfavorevole al condomino incidendo sui suoi diritti, si ricorrerà all'impugnazione in via contenziosa. Se, invece, l'assemblea viene convocata, nel caso di sua omessa iniziativa o ove non si raggiunga la maggioranza, allora la strada da seguire sarà sicuramente quella stabilita dall'art. 1105 c.c. Gli Ermellini spiegano in maniera chiara come, essendo il provvedimento reso in sede di volontaria giurisdizione (all'esito di “un giudizio camerale plurilaterale atipico”) privo di decisorietà e definitività, nonché revocabile e modificabile dalla stessa Corte d'Appello e non contenendo alcun giudizio sui fatti controversi, non può costituire "autonomo oggetto di impugnazione in Cassazione”.
AVV. GIUSEPPINA MARIA ROSARIA SGRO'