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Il tecnico e l’edilizia privata: responsabilità, abusi edilizi ed obbligo di denuncia agli enti

responsabilità del progettista, art. 481 codice penale

ABUSI EDILIZI PREESISTENTI NELL'EDIFICIO DA RISTRUTTURARE PROCEDURA E PRASSI, RUOLO DEL TECNICO RESPONSABILITA' PENALE SEGRETO PROFESSIONALE

Il tecnico e l’edilizia privata: responsabilità, abusi edilizi ed obbligo di denuncia agli enti, non vi è correlazione alcuna con il segreto professionale

1) Il professionista che, incaricato dal privato per la progettazione di una ristrutturazione, come agisce nel caso in cui rilevi difformità edilizie nell’immobile?

2) Il ruolo del tecnico - progettista

3) La prassi corretta laddove il committente crei insistenze per il completamento della prestazione professionale

4) Trattazione di un caso pratico: “il committente si rivale sul tecnico – progettista per non aver inteso presentare progetto di ristrutturazione per l’immobile nel quale presenti abusi edilizi”

5) L’azione immediata del professionista

6) Il segreto professionale: oggetto e complemento

7) Il segreto professionale al cospetto di ciò che attiene un immobile

8) La Fondazione Italiana del Notariato

1) Il professionista che, incaricato dal privato per la progettazione di una ristrutturazione, come agisce nel caso in cui rilevi difformità edilizie nell’immobile?

Preliminarmente il tecnico rende edotta la committenza circa lo stato di fatto dell’immobile, e, nel consigliare la regolarizzazione dell’abuso, ne effettua la valutazione, in primis se trattasi di “tolleranze costruttive” ai sensi dell’art.34 del D.p.r. 380/2001, quindi, se non soddisfatta la verifica, classificando le opere eseguite nel rispettivo regime abilitativo secondo i disposti del medesimo Testo Unico per l’Edilizia, si avranno, pertanto tre ipotesi di “sanatoria”:

  • comunicazione di inizio lavori asseverata, C.I.L.A., ai sensi dell’art.6-bis, comma 5, con versamento della sanzione di euro mille, se trattasi di opere che non abbiano interessato le parti strutturali dell’edificio, ovvero rientranti nell’attività edilizia libera;
  • permesso di costruire in sanatoria, ai sensi dell’art.36, se trattasi di interventi eseguiti in assenza o difformità dal medesimo titolo abilitativo edilizio o dalla S.C.I.A. in alternativa al permesso di costruire;
  • segnalazione certificata di inizio attività in sanatoria, ai sensi dell’art.37 se trattasi di interventi realizzati in sua assenza o difformità.

Le opere da “sanare” dovranno risultare conformi alla disciplina urbanistico-edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’abuso e sia al momento della presentazione dell’istanza per l’ottenimento del permesso di costruire o della trasmissione della S.C.I.A. Nulla esclude il committente rifiuti di sanare le opere, talora anche elevando nei confronti del professionista pretese non legittime, in questo caso la figura del tecnico coincide con quella del progettista? In considerazione del fattore si stia trattando una fase tecnica priva di trasmissione del progetto allo Sportello Unico per l’Edilizia del Comune ove ricade l’immobile, nulla muta in relazione al ruolo del tecnico, la cui figura si deve ricondurre a quella del “progettista” anche in funzione dell’incarico ricevuto e per aver espletato le prestazioni professionali prima viste, quali i sopralluoghi, i rilievi dell’immobile, la rappresentazione grafica, nonché la comparazione tra lo stato di fatto e gli atti assentiti, l’analisi delle difformità e l’individuazione del regime edilizio nel quale rientrano e mediante il quale regolarizzarle.

2) Il ruolo del tecnico - progettista

Il tecnico è il professionista che, iscritto nel relativo albo, presta opera intellettuale la cui disciplina è regolata dal Codice Civile, artt. 2229 – 2238 e dal Codice Deontologico dell’Ordine Professionale di appartenenza.

La prestazione professionale si incentra su determinati principi tra i quali annoverare il rapporto di fiducia con il committente in stretta concomitanza con l’autonomia del tecnico nell’espletamento del mandato, ed in capo al quale deve corrispondere un adeguato compenso commisurato sia all’importanza dell’opera e sia al decoro della professione svolta.

Per quanto concerne la progettazione è noto essa consista nell’elaborare un progetto da non configurarsi nel senso stretto dei soli grafici, bensì in tutte le operazioni che ne permettono la redazione, progetto che naturalmente non può non essere redatto nel rispetto della disciplina urbanistico – edilizia e di ulteriore altra legislazione settoriale se l’immobile è assoggettato a vincolo, previa l’implicita e sempre dovuta osservanza dello Strumento Urbanistico, del Regolamento Edilizio Comunale, delle normative igienico – sanitarie, delle norme sulla prestazione energetica degli edifici e quanto altro necessario.

È durante le fasi di rilievo dell’edificio che il professionista acquisisce tutte le nozioni necessarie per concretizzane la successiva rappresentazione grafica, assume sin da quel momento il ruolo di esercente un servizio di pubblica utilità ai sensi dell’art.481 del Codice Penale. Inutile precisare lo stato di fatto dell’edificio, per norma e prassi, costituisca parte integrante e sostanziale di un progetto destinato al deposito in comune, dovendo corrispondere fedelmente ai luoghi, prevalendo su eventuali progetti precedenti, ragion per cui è consuetudine corredarlo della documentazione fotografica, relazione tecnica ed elaborati tecnici che, rispettivamente integrandosi, debbono fornire una corretta rappresentazione del manufatto edilizio.

Detto ciò emerge che l'errata rappresentazione formi ’illegittimità del titolo edilizio legandosi inscindibilmente alle dichiarazioni rese dal tecnico.

Il nesso logico di particolare riferimento riguarda il fattore la prestazione professionale prescinda, ragionevolmente, da ogni genere di richiesta del committente laddove essa non risultasse allineata con le disposizioni normative e regolamentari secondo un ordine gerarchico assolutamente superiore.

Onere del tecnico è mantenere inalterata l’integrità professionale quandanche il cliente si focalizzi ostinatamente al raggiungimento di un suo specifico scopo o di un interesse economico, nell'intento di realizzare interventi edilizi seppur venendo meno all'osservanza della norma, ovvero ignorando la presenza di un abuso edilizio, circostanza nella quale il ruolo del professionista deve coincidere con quello di garante anche tenuto conto delle conseguenze, comprese quelle di natura penale, non efficaci nei suoi soli confronti ma, bensì, anche nei confronti della committenza.

Entrando nel merito dei contenuti del d.P.R. 380/2001, l’art.29 “Responsabilità del titolare del permesso di costruire, del committente, del costruttore e del direttore dei lavori, nonché anche del progettista per le opere subordinate a segnalazione certificata di inizio attività” è al comma 3 ad essere reso oltremododo chiaro il concetto secondo cui la figura del progettista debba assorbirsi a colui che esercita un servizio di pubblica utilità. Ampia conferma si riscontra nella dichiarazione resa dal tecnico sotto forma di asseverazione nei titoli abilitativi edilizi: ”Il progettista, in qualità di persona esercente un servizio di pubblica necessità ai sensi degli artt.359 e 481 del Codice Penale, esperiti i necessari accertamenti di carattere urbanistico, edilizio, statico, igienico ed a seguito del sopralluogo, assevera che l’intervento, compiutamente descritto negli elaborati progettuali, è conforme agli strumenti urbanistici approvati e ai regolamenti edilizi vigenti, nonché che è compatibile con la normativa in materia sismica e con quella sul rendimento energetico […]”.

Giuridicamente inteso debbano far capo al tecnico obblighi e responsabilità rilevanti rispetto a quelli di carattere generico, le cui conseguenze, per il venir meno, operano sia sul profilo civile, che su quello penale, a prescindere dal fattore la fase progettuale sia stata formalizzata con il solo conferimento dell’incarico professionale, ma non conclusasi con la presentazione del progetto all’ente preposto.

Al professionista che, in carenza dei requisiti e dei presupposti fondamentali, inoltra un progetto agli enti è ascrivile il reato di cui all’art.481 del Codice Penale “Delitto contro la fede pubblica” punito per falso ideologico commesso dall’esercente un servizio di pubblica utilità, ciò assume rilievo anche nella pronuncia della Corte di Cassazione Penale con la Sentenza 27699/2010: “Il progettista assuma la qualità di persona esercente un servizio di pubblica utilità anche con riferimento alla relazione iniziale che accompagna la denuncia di inizio attività e che quindi assumono rilevanza penale anche le false attestazioni contenute in questa relazione, qualora riguardino lo stato dei luoghi e la conformità delle opere realizzande agli strumenti urbanistici vigenti e non già la mera intenzione del committente o la futura eventuale difformità con le opere in concreto realizzate”.

La sentenza 27699/2010 definisce esaustivamente la circostanza nella quale il progettista, ignorando le verifiche obbligatorie, attesti falsamente, trasmettendo il progetto al Comune, casistica comportante, a sua volta, l’onere per l’amministrazione comunale, chiaramente in quei pochi casi nei quali rilevato l’”errore”, di dover denunciare le irregolarità commesse dal tecnico al Consiglio di Disciplina dell’Ordine Professionale ove iscritto per le eventuali sanzioni disciplinari

3) La prassi corretta laddove il committente crei insistenze per il completamento della prestazione professionale

La abbiamo trattata sinora, la stessa deve, naturalmente, concludersi con la risoluzione del mandato professionale, per tutti i motivi citati, considerando la responsabilità dei soggetti implicati in un processo edilizio (proprietario, progettista, direttore dei lavori) laddove siano iniziati i lavori, maturi immediatamente nel momento in cui realizzate opere in difformità rispetto al titolo, così come nel caso in cui un intervento sia assoggettato al regime della richiesta del permesso di costruire ma venga trasmesso un titolo abilitativo edilizio minore, così come nel caso in cui si intervenga in un edificio nel quale presenti difformità, maturando in questi casi, e come prima citato, il reato di cui all’art.481 del Codice Penale, come conferma la Corte di Cassazione Penale con la Sentenza 30401/2009.

4) Trattazione di un caso pratico: “il committente si rivale sul tecnico – progettista per non aver inteso presentare progetto di ristrutturazione per l’immobile nel quale presenti abusi edilizi”

Siamo giunti in un periodo nel quale non escludere l’ipotesi del committente che, mirando esclusivamente alla fruizione delle agevolazioni fiscali in edilizia, in particolare il cd. “Superbonus 110%” e delle opzioni alternative alla detrazione, quali lo sconto in fattura e/o la cessione del credito, fin tanto che furono vigenti, sia egli medesimo d’ostacolo per il corretto adempimento del mandato professionale del tecnico incaricato.

Poniamo la circostanza nella quale il professionista, ricevuto l’incarico avente ad oggetto lo studio di fattibilità degli interventi oggetto di detrazioni, nonché la progettazione e la successiva direzione lavori, nonostante la semplificazione introdotta al comma 13-ter dell’art.119 del decreto Rilancio, non più comportante l’attestazione dello stato legittimo dell’immobile, stabilisca di operare secondo diligenza, ragion per cui si “cimenta” all’analisi di tutta la documentazione edilizia in possesso del cliente e depositata presso gli enti, effettua gli opportuni accertamenti, rilievi e misurazioni in sito e ricava l’edificio non sia conforme né rispetto ad una Autorizzazione Edilizia ottenuta anni prima e né rispetto ad una successiva S.C.I.A. Oltremodo il professionista incaricato analizzando i citati titoli edilizi precedenti ravvisa siano carenti, il primo, della comunicazione del termine dei lavori, ed il secondo del collaudo amministrativo, deducendone le risultanze normative.

Portato il committente a conoscenza della questione lo ragguaglia, come abbiamo accennato al paragrafo 1, circa la necessità di trasmettere, preventivamente alla pratica edilizia per l’avvio dei lavori agevolati, il progetto finalizzato alla regolarizzazione degli abusi, facendo, altresì, presente che in caso contrario pena la rinuncia all’incarico professionale per impossibilità a procedere.

Come trattato nel presente il committente è la figura che affidandosi al professionista, secondo un rapporto di fiducia, deve pretendere questo agisca secondo scienza e coscienza con il dovere dell’osservanza di ogni principio etico, deontologico ed operativo legato allo svolgimento della sua professione, fattore sul quale il committente non sempre conviene.

Alla luce di ciò, sovente la committenza richiede altri pareri e nel rivolgersi ad un altro professionista, purtroppo, non solo riesce a raggiungere il suo scopo venendo meno ad ogni logica legislativa, inconsapevole di ogni possibile problematica futura soprattutto se derivante dai controlli da parte del fisco inerenti la indebita fruizione delle agevolazioni fiscali, ma più gravemente la committenza in questione viene diretta verso una concezione non legittima sotto nessun profilo.

Non sono casi, purtroppo rari, anzi con più costanza si verifica il privato riesca ad individuare un tecnico che, senza effettuazione di alcuna verifica in senso alla legittimità urbanistico – edilizia del manufatto edilizio, così come dal punto di vista strutturale ed antisismico, asseveri facilmente i futuri interventi da realizzare, conducendo il soggetto titolare non solo in una convinzione scorretta, ma ponendolo nella posizione dei rischi derivanti dall’illecito edilizio e dalle frodi fiscali.

Tornando al nostro esempio, la casistica in questione si conclude con l’azione del committente giungendo a denunciare il precedente tecnico per essersi, giustamente e legittimamente, rifiutato di rendere false attestazioni ed asseverazioni, pertanto di presentare un progetto. L’accusa del committente nei confronti del professionista ha ad oggetto essere egli causa della perdita delle agevolazioni fiscali.

5) L’azione immediata del professionista

Chiaramente ciò che porta ad agire il tecnico è far luce sulla motivazione impeditiva del prosieguo del rapporto professionale, quindi sulla presenza degli abusi edilizi nel fabbricato, per fare ciò richiede agli enti preposti gli opportuni e dovuti accertamenti. In relazione alla pendenza della denuncia elevata dal committente presso il Consiglio di Disciplina dell’Ordine Professionale nel quale iscritto il tecnico, è in sede di audizione di questi che, inopportunamente, l’organo giudicante eccepisce il venir meno del professionista al cd. “segreto professionale” con la richiesta di accertamento agli enti circa gli abusi edilizi, ciò nonostante letteratura, annotazioni e pronunce giurisprudenziali, nonché normativa e provvedimenti vigenti classifichino tale segreto professionale in tutt’altra sfera giuridica.

6) Il segreto professionale: oggetto e complemento

Il segreto professionale è giuridicamente definito un’“obbligo normativo per alcune figure professionali, quali il libero professionista, il lavoratore dipendente ed il dipendente pubblico, cui imposto non rivelare o pubblicizzare informazioni delle quali venuti a conoscenza per motivi di lavoro e soprattutto per le quali è imposto uno specifico obbligo di segretezza”.

Coincide con un vincolo di riservatezza ma attiene solo ed esclusivamente i dati sensibili conosciuti in relazione e durante l’attività svolta, nulla vi ha a che vedere e rileva ai suoi fini se costituente informazioni di pubblico dominio, rientrano tra queste tutte quelle inerenti un immobile, proprio per l’assenza del requisito di segretezza.

Come accennato oggetto dell’assoluto mantenimento del segreto professionale sono solo i dati sensibili, ovvero tutte le informazioni che, permettendo di identificare un soggetto, ne rivelano caratteristiche proprie, abitudini, stile di vita, relazioni personali, stato di salute, patrimoniale, e così via, vi rientrano i dati anagrafici, le immagini, il codice fiscale, il numero di targa, ed ancora i dati svelanti l’origine razziale o etnica, la declinazione religiosa, ideologica.

Si annoverano tra i dati sensibili anche le comunicazioni telefoniche o avvenute a mezzo internet, la geolocalizzazione e tutte le informazioni che, in genere, rivelano gli spostamenti e/o i luoghi frequentati, inoltre il Regolamento UE 2016/679 include i dati genetici, i dati biometrici ed i dati afferenti l’orientamento sessuale.

Sono protetti da tutela del segreto professionale i dati “giudiziari” riguardanti le condanne penali ed i reati, le qualità di imputato o di indagato, e, come introdotti dal Regolamento UE sopra citato, i dati relativi alle condanne ed ai reati connessi con le misure di sicurezza.

Ai sensi del Regolamento UE 2016/679 per quanto concerne il trattamento dei dati personali del cliente, da parte del Titolare, il professionista, il riferimento specifico è ampiamente ricondotto all’indirizzo, al codice fiscale, e quanto previsto al punto 1, paragrafo 1, dell’articolo 4, spetta, pertanto, al Titolare del trattamento dei dati personali tutelare, con o senza mezzi automatizzati, esclusivamente ciò che riguarda la “protezione” dei dati sensibili, mediante la raccolta, la registrazione, la limitazione, la cancellazione o la distruzione e così via, come disposto dal punto 2, paragrafo 1, articolo 4 del Regolamento UE 2016/679.

A rigor di logica ed a scanso di ogni mera interpretazione secondo il dettato normativo ed il Codice Deontologico il professionista, nel non venir meno al segreto professionale, ha il dovere e l’obbligo di mantenere la massima riservatezza sull’attività prestata, sulle informazioni fornite dal cliente e su quelle di cui venuto a conoscenza in dipendenza del mandato, obbligo permanente anche a conclusione del mandato professionale con valenza per i suoi dipendenti o collaboratori, rispondendone egli per l’eventuale infrazione da parte di questi ultimi.

Obbligo che chiaramente e senza dubbio attiene i dati sensibili come elencati e non fattori o elementi inconducenti derivanti da soggettive interpretazioni che ne viziano il legittimo raggio di applicazione.

7) Il segreto professionale al cospetto di ciò che attiene un immobile

Già precisato, non esiste attinenza alcuna tra quanto rientrante nel criteri del segreto professionale rispetto ai dati di un immobile, avvalorando la tesi, non l’ipotesi, l’azione del professionista consista, tra le varie, anche in un indiscusso dovere di tutelare l’interesse collettivo salvaguardato con la repressione dell’abusivismo edilizio.

La segnalazione di un illecito edilizio conforma, oltremodo, un rapporto di concomitanza dovuto al fattore rientri l’abuso tra i reati, ragion per cui ai sensi della normativa è “imposto” al professionista, nel ruolo da egli svolto, di denunciare l’illecito di cui si è venuti a conoscenza, sia per disposto del Codice Penale e sia nella veste del pubblico ufficiale che omettendo o ritardando la segnalazione all’autorità commette ulteriore illegittimità con prevista punizione.

Rientra nella medesima fattispecie la circostanza nella quale il professionista assolva al dovere anche nel corso di una controversia con un cliente, ovvero nel contesto di una procedura disciplinare, limitatamente al necessario o più ampiamente rispetto al fine da salvaguardare.

8) La Fondazione Italiana del Notariato

L’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale del Notariato, ha diffuso il trattato “Il segreto professionale. La tutela del segnalante. Il divieto di comunicazione. La tutela della privacy” di Caterina Valia, dal trattato emerge in relazione al segreto professionale: “Il concetto di giusta causa consente di tracciare i limiti di operatività del segreto professionale giustificando la rivelazione della notizia ed esonerando il professionista da qualunque responsabilità; è necessario effettuare, quindi, un'attenta valutazione dei vari interessi coinvolti di volta in volta e, operando un bilanciamento tra le contrapposte esigenze, sacrificare la segretezza nelle ipotesi in cui sia necessario garantire l'attuazione di prevalenti finalità”.

Dott. in Ing. e Geom. Donatella Salamita


Autorizzazione Paesaggistica, indipendenza tra titolo abilitativo edilizio ed autorizzazione paesaggistica

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Partiamo dal presupposto che l’Autorizzazione Paesaggistica sia un atto autonomo richiesto in virtù di una specifica disciplina, con validità di cinque anni. Negli interventi di edilizia libera l’autorizzazione de quò risulta necessaria laddove presente vincolo paesaggistico, dovendo conseguire preliminarmente all’inizio dei lavori tale atto di assenso. Se volessimo dare uno sguardo al rapporto tra titolo edilizio ed autorizzazione paesaggistica, emerge dall’art.146 comma 9 del D.Lgs 42/2004 essere l’Autorizzazione Paesaggistica “atto autonomo e presupposto dei titoli edilizi” ragion per cui il titolo abilitativo edilizio non può essere rilasciato o reso effettivo senza il previo parere, nulla osta o autorizzazione favorevole da parte della Soprintendenza ai beni culturali ed ambientali. Resta, comunque, come da costante giurisprudenza, valevole il fatto che la mancata acquisizione non renda illegittimo il titolo edilizio, più precisamente, trattandosi di due diverse tipologie di atti, autonomi l’uno rispetto all’altro. Le disposizioni del Testo Unico per l’Edilizia, d. P.R. 380/2001 in relazione agli atti di assenso Nell’introdurre la disciplina urbanistico – edilizia è l’art. 1 “Ambito di applicazione” al comma 1 a riportare il testo inerisca “i principi fondamentali e generali e le disposizioni per la disciplina dell’attività edilizia” facendo comprendere al lettore, al successivo comma 2, lo stesso testo unico per l’edilizia non attenga in alcun modo quanto riguardante normative settoriali specifiche, pertanto da quel punto di vista non ne legittima la liceità. In tal senso viene precisato, anche nel disciplinare l’attività edilizia non soggetta ad alcuna comunicazione allo Sportello Unico per l’Edilizia, ovvero al protocollo del Comune per gli enti sprovvisti di S.U.E., che non possano essere iniziati i lavori, sia nel recitare “Restano ferme le disposizioni in materia di tutela dei beni culturali e ambientali contenute nel decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490 (oggi decreto legislativo 42/2004), la normativa di tutela dell’assetto idrogeologico, e le altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia”. Non si limita ancora il concetto disposto dal T.U.E., ripreso, ulteriormente al comma 1 dell’art.6 “Attività edilizia libera”, che testualmente recita: “Fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia e, in particolare, delle norme antisimiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all’efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n.42, i seguenti titoli sono eseguiti senza alcun titolo abilitativo edilizio […]”, proseguendo il disposto normativo con la elencazione delle opere. Resta inteso che il mancato conseguimento dell’autorizzazione paesaggistica sia condizione di inefficacia, ma non di validità del titolo edilizio come confermato al prima citato comma 9 dell’art.146: “i lavori non possano essere iniziati in difetto dell’autorizzazione paesaggistica, senza riferimento al titolo edilizio”.


Un allestimento per i 100 anni di Ostia Antica

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Il progetto “Quattro volte” di Stefano Boeri è stato realizzato in occasione della mostra dal nome “Chi è di scena! Cento anni di spettacoli a Ostia Antica (1922-2022)”, aperta dal 22 maggio 2022.

In particolare, il teatro romano è al centro dell’allestimento che vede l’intervento dell’archistar coniugando archeologia ed innovazione. Lo studio di Stefano Boeri architetti era già intervenuto lo scorso anno nel progetto di accesso alla Domus Aurea a Roma. La mostra curata da Alessandro D’Alessio, Nunzio Giustozzi e Albero Tulli è promossa dal Parco archeologico di Ostia antica e dalla realtà editoriale di Electa.

Si tratta di quattro stanze voltate e semiaperte che ospitano materiali multimediali e d’archivio relativi alla vita del teatro romano stesso, 100 anni di storia che vengono messi nuovamente in scena in altre forme. Si differenziano l’una l’altra in base al percorso espositivo e a seconda del periodo storico di riferimento, partendo dall’antico fino ad arrivare ai giorni nostri; infatti, il teatro è ancora oggi in uso. Le quattro stanze rievocano gli ambienti voltati del deambulatorio esterno del teatro, tuttavia, sono realizzate con materiali e tecnologie moderne, a dimostrazione della possibilità dell’antico di convivere con il nuovo. Come descrivono i progettisti:

“Se da un lato il modulo espositivo si ispira all’aspetto originario del teatro romano, in particolare alla forma archetipica dell’arco a tutto sesto, dall’altro mantiene un carattere di indipendenza, senza l’intenzione di proporre una ricostruzione filologica degli elementi mancanti della struttura antica.”

I materiali impiegati oltre a soddisfare criteri di resistenza agli eventi atmosferici garantiscono una certa sicurezza per i materiali esposti. La struttura di base è costituita da elementi tubolari di 80x80 mm rivestiti mentre gli accessi sono schermati da tende oscuranti. In considerazione della particolare sensibilità degli oggetti esposti quali abiti di scena e materiale cartaceo era indispensabile curarne anche l’illuminazione interna, oltre che la schermatura dal sole, per cui le vetrine presentano LED ad incasso e un sistema di controllo dei valori di umidità e temperatura.

Particolare rilevanza hanno i modellini in scala di Mario Sironi e Duilio Cambellotti, hanno poi collaborato alla raccolta di tutti i materiali esposti gli archivi della Biblioteca Museo Teatrale SIAE, dell’INDA, di Cinecittà Luce e materiali provenienti da collezioni private come la Collezione Andrea Sironi-Strauβwald.

Lo scavo estensivo del teatro che oggi ospita fino a 2800 spettatori fu condotto nel 1926 dall’archeologo Guido Calza, ma i primi lavori risalgono al 1880/1881 da parte di Rodolfo Lanciani, scavi fondamentali che hanno portato al rinvenimento delle epigrafi che hanno permesso la datazione del teatro stesso all’età augustea.


L’edilizia sociale vista da Peris+Toral Arquitectes

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Il progetto degli architetti spagnoli per la città di Cornellà de Llobregat, vicino a Barcellona, all’insegna della dinamicità degli spazi e dell’efficienza energetica, vede la realizzazione di 85 abitazioni per un’estensione di 10.000 metri quadrati.

I progettisti Marta Peris e José Toral pongono l’individuo al centro dell’idea progettuale, un’approccio che ha permesso loro la vittoria al concorso di idee del 2017 promosso dall’area metropolitana di Barcellona, AMB, e l’ente pubblico IMPSOL.

L’edificio si compone di cinque livelli ed è realizzato interamente in legno, per la sua realizzazione sono stati impiegati circa 8.300 metri quadrati di legno di Paesi Baschi. La scelta materica ha favorito così l’industrializzazione del processo costruttivo ed una conseguente diminuzione dei tempi esecutivi nonché delle emissioni d i CO2, senza tralasciare l’ottimizzazione delle qualità costruttive.

Il rapporto con la città è reso solidale da un portico che funge da filtro tra lo spazio residenziale e quello pubblico andando a costituirsi quale piazza comunitaria, un patio centrale permette lo sviluppo di spazi intermedi, ai quattro angoli dell’edificio invece, sono posti i collegamenti verticali. Alle abitazioni si accede da terrazze che affacciano direttamente sul patio centrale, lo spazio è sapientemente gestito per evitare sprechi con la disposizione delle stanze di dimensioni indifferenziate, vi sono 18 appartamenti su ogni piano per un totale di 85. I moduli quadrati permettono una grande flessibilità degli ambienti, ogni casa dispone di cinque, sei o sette moduli, con al centro la cucina che funge da ambiente distributivo evitando i corridoi.

Il progetto risulta inoltre finalista del Premio EU Mies van der Rohe 2022 a dimostrazione del fatto che l’edilizia popolare può ambire oltre che alla fattibilità economica anche alla sostenibilità ambientale.


A Jaisalmer il progetto di una scuola tutta al femminile

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La scuola per ragazze Rajkumari Ratnavati in India, progettata dalla newyorkese Diana Kellogg travalica le barriere dell’accesso alla conoscenza con un disegno architettonico all’insegna della sostenibilità.

L’edificio si presenta come una grande ellisse in pietra, simbolo di femminilità in molte culture, a cui se ne sovrappone una seconda nelle tipiche forme indo-islamiche dello jali, una decorazione architettonica che consiste nell’intaglio della pietra con motivi geometrici, l’effetto finale è un chiaro-scuro di grande suggestione. Lo jali inoltre ha lo scopo di abbassare la temperatura comprimendo l’aria attraverso i fori. Il cortile interno invece è ribassato rispetto alla quota di calpestio interna all’ellisse per favorire la racconta delle acque ed è stata conservata la preziosa vegetazione che era presente sul luogo. Come sostiene l’architetto le scelte progettuali sono state razionali ed allo stesso tempo mirate rispetto al mantenimento della struttura stessa nel tempo: “Poiché l’edificio è stato costruito per un’organizzazione no-profit è stato fatto ogni sforzo per mirare ad una progettazione quanto più economica possibile”.

L’edificio le cui tonalità ben si sposano con il contesto desertico circostante, nonostante la sua mole, sarà parte di un complesso il Gyaan Centre. Si prevede la realizzazione in uno spazio espositivo, uno spazio per rappresentazioni ed eventi, un museo tessile e la sede di una cooperativa femminile per l’apprendimento di mestieri artigianali. Gli ambienti sono realizzati con soffitti alti così da garantire temperature meno elevate e finestrature tali da diffondere la luce solare proveniente da Sud, anche gli spazi scoperti del tetto saranno fruibili e le lezioni potranno tenersi all’aperto. Il materiale principe per la realizzazione dell’intero edificio è stata una pietra locale del Jaisalmer, un’arenaria, mentre per le finestre è stata impiegata la pietra Jodhpur che meglio si prestava ad esigenze strutturali.

Dal punto di vista della sostenibilità non meno importante è la presenza dei pannelli solari che a detta dell’architetto è stata una vera e propria sfida: “Genus Innovation, un’azienda con sede a Jaipur, è salita a bordo e si è offerta di costruire il mio sogno. Li abbiamo installati come un baldacchino sul tetto, l’armatura metallica funziona come una specie di jungle gym vecchio stile con altalene, dondoli e manubri”.

Per le lavorazioni interne l’architetto Diana Kellogg ha sempre cercato di tenersi vicina alla cultura del luogo non solo impiegano elementi tipici come il charpai per le panche, un letto in corda indiano, ma ha anche integrato la forza lavoro locale. Le stesse uniformi disegnate da Sabyasachi saranno realizzate da tessitori locali.

Sono stati messi a disposizione 35.600 metri quadrati da Manvendra Singh Shekhawat, imprenditore locale, il quale è entrato in prima persona a far parte dell’organizzazione internazionale promotrice del progetto: “CITTA”, il cui direttore esecutivo e fondatore è Michael Daube. L’organizzazione con sede a New York si occupa di sostenere lo sviluppo di comunità che si trovano in una grave situazione economica, favorendo l’accesso ai servizi sanitari ed educativi. La scuola di Jaisalmer ospiterà infatti circa 400 ragazze sin dall’età infantile.

Il tasso di alfabetizzazione femminile in questo territorio fatto di piccoli villaggi sparsi è solo del 36% sul totale della popolazione, questo progetto si pone dunque come baluardo per l’emancipazione femminile, offrendo una possibilità di riscatto, e dimostra come l’architettura non sempre sia al servizio dell’ego dei progettisti ma si ponga a servizio della società.